Why always me?

Rondo arriva sul set dello shooting sui sedili posteriori di un SUV nero dai vetri oscurati. È appena tornato da un’attività di beneficenza a Pavia, fatta all’interno del Policlinico San Matteo e alla Fondazione Mondino. Mentre lo scattano, i ragazzi che sono arrivati con lui mi fanno vedere foto e video: c’è anche Artie, quello che più avanti mi descriverà come suo unico amico nella scena. Sono entusiasti, è la prima volta che fanno un’attività del genere e vedere l’effetto sui bambini dell’ospedale li ha genuinamente colpiti. Non solo perché hanno dato qualcosa indietro alla società – e alle nuove generazioni -, ma anche per l’atteggiamento di genitori e figli, increduli e stupiti dal fatto che una figura come Rondodasosa potesse prestarsi così bene ad attività di questo tipo.

«Ormai la persona che conosci è quella sui social e non quella reale» mi dice Rondo, e spesso capita che ci comportiamo di conseguenza, giudicando senza poi essere in grado di scindere le due. «La gente sembra avere paura di me, dicono di non voler fottere con me perché vengo da un determinato posto, perché ho determinate persone dietro, con un determinato colore di pelle. Però alla fine, quando mi conoscono nella realtà cambiano parere e mi dicono che non sono la persona che vedono sui social». 

Quello dei social è un argomento che tocca molto la vita di Rondo, perché secondo quanto afferma è proprio a causa della sua percezione online che gli è arrivata una carica d’odio difficile da gestire e ridimensionare. E da cui è stato complesso difendersi, soprattutto se hai solo 20 anni.

«Non saprei dirti perché non mi capiscono», mi dice a un certo punto pensieroso. «È una domanda che mi pongo spesso. C’è stata una grossa carica negativa verso di me sui social che ha modificato in modo ampio e indelebile la mia percezione. Io sicuramente ho fatto le mie cazzate, i miei errori. Può essere, sia chiaro. O anche il fatto di essere così giovane, così tanto ricco. Ma banalmente, questo rap game è un cerchio, e magari nascono delle antipatie per delle cazzate. Alla fine si litiga sempre per due cose: per i soldi e per le donne».

I soldi, croce e delizia. «Dovrei scriverci un libro», mi dice quando gli chiedo in che modo hanno cambiato lui e chi gli sta intorno. «Sono un povero che è diventato ricco. È come dare una Ferrari a un bambino piccolo. Anche perché all’inizio arrivi in questo game che non sai nulla di cosa c’è dietro, non hai gente preparata. E quindi fai tutti gli errori che devi. I soldi hanno cambiato tutto, dalla vita a come le persone dialogano con te».

Gli sguardi delle persone Rondo li sente particolarmente su di sé, probabilmente per la difficoltà nel decifrare le intenzioni altrui e per il muro di pregiudizi che sente di avere costantemente interposto tra lui e chi ha davanti. Tutto ciò che mi racconta mi riporta a una frase che mi ha detto all’inizio della conversazione e che era forse passata sotto traccia: perdere il concetto di vita reale, da quando ha addosso questo successo invadente. 

«Quando diventi famoso la gente ti inizia a guardare in modo diverso, anche se sei la stessa persona. E perdi un concetto di vita reale, perché sembra che tutti quelli intorno a te siano tuoi amici e invece è gente che lavora e poi basta. Non hai amici in questa industria».

Di amici effettivamente non ne ha molti nella scena, se inizialmente il senso di unione si era manifestato con la SevenZoo, Rondo parla solo di chi gli è amico, di altri non vuole fare parola. Quando glielo chiedo mi risponde con un «next question», perché è un tasto che non vuole toccare. «Non ho amici in questo rap game, se non Artie, che mi ha dato una grandissima mano, e pochi altri. Capo Plaza, basta», mi dice.

Ci sono molte cose che Rondo soffre, seppur spesso indirettamente. Il giudizio degli altri, la smodata ricchezza, la difficoltà a fidarsi delle persone che gli stanno attorno. Il disco è una lunga lettera a coloro che lo ascoltano e seppur mi dica che «è un disco in cui tiro fuori di più la mia parte matura, cercando di portare anche delle vibes positive», quest’ultime faccio fatica a riconoscerle. Rondo in “BLUE TAPE” è più maturo, parla, si apre – «se sto zitto e non mi apro nessuno può capire davvero ciò che vivo» -, e i messaggi di fondo saranno pure positivi e motivazionali, ma i testi trasudano sofferenza e i motivi sono molteplici. La fiducia è uno di questi. 

Uno dei brani del disco, “Doppio taglio”, è una dedica d’amore alla sua pistola, ripresa dall’iconico brano di Tupac “Me And My Girlfriend”. Quando lo sento inizio a mettere le cose che ho ascoltato fino ad allora su piani differenti. Fidarsi è un grosso sforzo che Rondo deve fare verso le altre persone, perché rendersi conto di quale sia la realtà non è semplice e il fatto che nella vita sia già stato tradito non facilita.

«Il problema è che la gente non vive con dei codici, non c’è etica né morale. Se le persone avessero dei codici capirebbero che certe cose non andrebbero fatte. Io mi sono sentito tradito e mi hanno effettivamente tradito, però è così che funziona questo mondo. Quando arrivi in alto devi combattere l’industria, le istituzioni, i nemici e la tua stessa gente» mi dice, e aggiunge: «io ho scelto questa vita e nel bene o nel male è comunque una vita meravigliosa».

Gli dico che a mio avviso è quasi assurdo, perché come esseri umani dovrebbe essere naturale per noi fidarci di chi riconosciamo come simili. Mi risponde che è vero, ma che non è sempre così semplice. «È difficile da spiegare, ci sono tante sfaccettature e sfumature. Se c’è più bene o più male dentro di noi non possiamo dirlo. È equilibrato, siamo umani: abbiamo sia la parte di luce che di buio». 

Nel disco però che c’è una frase che recita “Qua non vince mai l’amore, è sempre l’odio che rimane dentro”, gliela riporto. «È la verità. È un riflesso della società, di questo mondo», mi dice. Gli chiedo se dentro di sé lo sente questo odio o se pensa invece di avere più amore in corpo. Ride e sospira. «Non lo so, dipende». Da cosa? «Dai periodi di vita. In determinati contesti nasci già con dell’odio dentro che non si è creato dopo: ce l’hai perché sei nato lì». Poi cambi, cresci, la vedi diversamente, ma poi c’è anche l’odio degli altri che ti travolge e proprio mentre ti stavi liberando del tuo, quello che hai perché ci sei nato, lo vedi arrivare da fuori.

Un odio che non è singolo ma collettivo, e che non riguarda solo lui ma tutta la scena, tutto l’hip hop.

«La cultura hip hop in Italia non esiste. È solo una facciata per lucrare. Non c’è niente di hip hop in ciò che succede qui. La cultura hip hop è anche unione e se la usi per uscire dalla merda e poi gli volti le spalle è come se non fossi mai stato un rapper, capisci?». E questo è un problema. «È un grosso problema. Perché purtroppo manca in questo paese. Chi è arrivato in questa scena, ci ha mangiato e ha lucrato dall’hip hop e poi lo ha abbandonato. Io lo faccio per questa cultura e per motivazione, io lo faccio perché non ho nient’altro, perché devo dimostrare a tutta questa gente che ogni giorno si sveglia e dice che odia Rondo, che alla fine riesco sempre a smentirli e a prendermi le mie vittorie». 

Ad unire e tendere la mano, Rondo ci ha provato e ci prova tuttora («A me gasa di più fare musica con una persona sconosciuta, proprio per il discorso di tirare su gli altri»). La scena di San Siro è salita tutta assieme grazie al supporto reciproco, ma – tornando a parlare di fiducia – ne ha poca nei confronti di chi vive il suo stesso rap game.

«Finché in Italia ci sarà questo odio, e giochiamo a chi ce l’ha più lungo, non andremo mai da nessuna parte in fatto di cultura hip hop. Perché quando ce la fa uno ce la fa quello dietro e quello dietro e quello dietro ancora, però se non si è uniti questa cosa non succede».

Nei suoi 21 anni – quasi 22 – Rondo di tappe ne ha bruciate e ne è cosciente, non ha tutte le risposte e a volte sembra sentirsi disarmato, ma impreparato mai. È sicuro che la sua strada sia quella giusta, che in qualche modo gli sia stata data dall’alto e non può crollare. E neanche sprecare l’opportunità per tirare su qualcuno insieme a lui. Sente delle responsabilità forse spropositate e mi domando se tutto ciò sia necessario, di che cosa si sta facendo martire.

«Sto portando l’Italia al Rolling Loud, all’estero, nonostante tutto, anche se gli altri mi odiano io ne parlo bene. Vado in America e porto la mia cultura come non è mai stato fatto. Perché non ci siamo mai arrivati in modo così forte. Artisticamente sono un martire, ma non mi sto sacrificando, ho un’integrità artistica, voglio rispettare la mia posizione ed essere coerente. Non mi voglio vendere per nessun motivo, voglio sapere che quando mi guarderò allo specchio vedrò la mia carriera e saprò che non l’ho fatto per fare soldi, l’ho fatto per la cultura. E basta. Che tra 20 anni ci sarà gente che potrà dire che nel 2024 c’era un ragazzo che è arrivato dal nulla e che, nonostante avesse mille dinamiche a sfavore, ha portato cultura hip hop e un cambiamento mentale». 

Cultura e cambiamento, portato dal rap. Perché le nuove generazioni sono tutto ciò in cui Rondo ripone grandi speranze. «Non è che se i giovani guardano il telegiornale al posto di ascoltare rapper crescono meglio. Noi mandiamo messaggi positivi, ma per forza di cose anche negativi: è la nostra vita, se non parliamo di questo allora di che cosa parliamo? Andiamo a fare le canzoni pop». Afferma. «È questo per me ciò che significa essere vero». 

Comprendo ciò che mi sta dicendo riguardo l’Italia, ma faccio fatica a capire perché voglia farsi rappresentate di un paese che gli ha messo i bastoni tra le ruote in diverse occasioni, e lui non è certo uno che si piega. «Nonostante una parte dell’Italia non mi ami, io continuo a supportare il mio Paese. Come il soldato che va in guerra senza che alla gente interessi se morirà o meno». Rondo sembra soffrire il fatto che gli altri non vedano il buono che c’è in lui. E forse è proprio questo il punto. 

«Prima lo stare spesso in America me la faceva vivere meglio. Adesso ho accettato che l’Italia è così e ci vorranno un po’ di anni prima che la mentalità cambi, però siamo in quella fase del processo. I giovani stanno cambiando, ci sono le nuove generazioni. Ci vorranno almeno 5 anni per essere al pari di Londra e Francia. Il nostro problema è anche questo: che noi non sappiamo far integrare la gente». 

È vero che Rondo non parla molto, ma non serve. Mi rendo conto che i silenzi, le pause, i sospiri dicono molto di più di ciò che potrebbe dire parlando. Perché basta leggere tra le righe. Il problema – e qui si va oltre la musica, si parla di società – sta nel fatto che c’è molta poca voglia di capire gli altri e le cose non dette non le si vanno a cercare. Eppure Rondo di cose ne dice, ma lo fa a modo suo. Basterebbe andare oltre e cercare di capire un linguaggio che forse a volte è solo diverso dal nostro

«A volte mi domando: perché è successo a me tutto questo? Però poi penso che se mi è capitato c’è un motivo, è un segnale per spingere più forte di tutti. Perché io non sono nella stessa posizione degli altri, devo lavorare il doppio per arrivare dove sono. Devo fare il triplo del lavoro, perché non ho lo stesso supporto, non ho quella cerchia di persone intorno che si propsano tra loro».

Rondo ora ha fretta, deve partire per Houston. Gli faccio l’ultima domanda. Qual è il tuo posto sicuro oggi? «[…] Il mio posto sicuro? Mia mamma. E Dio. Allah».

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