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“L’abito non fa il monaco” è un’espressione che viene utilizzata quando si vuole invitare a diffidare dalle apparenze che le persone – di primo impatto – sono in grado di suscitare. I vestiti, però, ci hanno insegnato come invece – generalmente – l’abito faccia il monaco. Se Re Sole, tra il quattordicesimo e il quindicesimo secolo, ci ha dato un significato sfrenato di lusso, è anche per “merito” della sua sfarzosa residenza a Versailles e dei suoi stravaganti outfit composti da un immancabile mantello tempestato da punte di diamante. Quell’universo pieno di avida esosità, di cui Luigi XIV era il portavoce, venne sovvertito dalla rivoluzione francese: ed è proprio da lì che il concetto di uniforme, inteso come stile originale di una determinata cerchia di persone, ha conosciuto il primo fiorente periodo di diffusione. In quel momento ogni gruppo, rivoluzionario o controrivoluzionario, aveva un proprio stile riconoscibile: giacobini, girondini e sanculotti, ciascun gruppo politico aveva la propria uniforme.
Il periodo post Ancien Régime e il mondo odierno del fashion sono uniti da un fil rouge, difatti il concetto di uniforme è stato utilizzato anche di recente da brand del calibro di Bottega Veneta e Aimé Leon Dore, ed è a tutti gli effetti una parola in grado di evocare un senso di appartenenza. Da un punto di vista di marketing e comunicazione, il termine uniform, utilizzato dai suddetti brand, ha il compito di evocare nella mente degli acquirenti un senso di iscrizione a una specifica nicchia, oltre a fare “affezionare” gli stessi a uno stile ben preciso, e in questo, Aimè Leon Dore ha fatto da maestro. Il brand di New York è stato – ed è – in grado di comunicare quello che Ralph Lauren ha fatto sin dalla sua nascita: vendere un messaggio, un concetto, un’appartenenza forte a una cerchia di persone che amano diventare un tutt’uno con la propria uniforme. Certo, i messaggi e lo stile comunicati sono molto diversi: i primi che son diventati un punto di riferimento sia per chi ama lo stile preppy 2.0., sia per chi predilige uno stile street contaminato da felpe e tutoni; Mr. Lauren, invece, ha effettivamente sublimato l’estetica della cultura WASP, creando delle vere e proprie uniformi inconfondibili.
Il concetto di uniforme attraversa epoche, periodi storici, sociali e politici, per questo motivo è tuttora soggetto a interpretazioni soggettive. È anche vero che, al giorno d’oggi, il concetto in sé si esprime con più sfumature e va incontro a svariate reinterpretazioni, ma è innegabile parlare di come il termine abbia influenzato la comunicazione dei brand e la percezione degli acquirenti, secondo un punto di vista vagamente simmeliano della moda, basato sull’impulso umano a confondersi nella collettività.
Sì, le uniformi possono avere un compito puramente omologatore, anche se nella prefettura giapponese di Mie le scuole hanno permesso di abbandonare l’antiquata uniforme scolastica a favore di una più vasta gamma di prodotti di Uniqlo, dimostrando una volontà di guadagnare libertà nella scelta degli outfit di tutti i giorni. L’episodio accaduto in Giappone è un esempio di come la società – seppur di rado – si ribelli al concetto delle uniformi che vengono imposte. Sul lato moda, le cose sembrano andare diversamente.
Un brand come Ronning è un esempio lampante di come il mondo dell’abbigliamento voglia portare in auge il concetto di uniforme. Quando guardiamo i suoi drop sembra di imbattersi in qualcosa di estremamente asettico e “piatto”, ma in realtà, capire le uniformi del brand del ragazzo danese equivale a capire come le stesse possano essere in grado di rimpiazzare i vestiti presenti nei nostri guardaroba. Magnus Ronning sta rendendo pop l’idea di casual uniform dressing nato nella Silicon Valley.
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Questi vari esempi ci dimostrano come le uniformi servano a dimostrare appartenenza a un gruppo di persone, a evitare di sprecare tempo nell’immaginarsi l’outfit del giorno successivo, e può al contempo essere un sotterfugio per abbattere la stagionalità della moda. Le uniformi sono passate dalle scuole alle passerelle, con brand come Thom Browne, Wales Bonner e Kenzo che hanno fatto da apripista. In particolare, gli ultimi due hanno contribuito a riportare in vita il preppy e tutte le vibes appartenenti all’estetica Ivy League, potenziata anche dal trend di TikTok sull’Old Money. Alla domanda “L’abito fa ancora il monaco?” risponderemmo di no, perché nonostante a Milano, se incontriamo il nostro vicino di casa scendere le scale in completo e mocassini, le possibilità che lavori da PwC o da Ernst & Young possono essere decisamente alte, allo stesso tempo, non tutte le persone che indossano una varsity jacket sono quarterback di squadre di football americano.