Quanto contano i dettagli nel tennis? La spinta delle gambe per colpire la pallina; il cordinarsi tra il suo lancio e il movimento del corpo in fase di servizio. Analizzando ogni elemento che comprende questo sport meraviglioso in cui testa, corpo ed anima determinano il risultato finale, non si può non soffermarsi su quanto la musicalità dei suoi elementi, quasi a ricordare una coreografia, simulino una composizione sonora.
Come indaga Luca Guadagnino nel suo nuovo film Challengers, da ieri al cinema, il tennis è relazione, una relazione che condividiamo strettamente con il nostro avversario, sia fisicamente che mentalmente, e questo turbinio di emozioni può trasformarsi conseguentemente in una triangolo emotivo di cui sono protagonisti le anime innocenti rappresentate dall’ex ragazza prodigio Tashi Duncan (Zendaya) e i compagni/amanti di doppio Art Donaldson (Mike Faist) e Patrick Zweig (Josh O’Connor). Il suono e la musica originale composta dal duo premio Oscar, Trent Reznor e Atticus Ross determinano il ritmo del film, i movimenti corporei e la forte intimità in un enigmatico thriller erotico.
Challengers è un film che segna una svolta nello stile del regista Luca Guadagnino, anche nelle vesti di autore della canzone originale Compress/Ripress, caratterizzato da un ritmo frenetico ed estenuante, con una struttura narrativa che si sviluppa su tre fasi temporali associandosi perfettamente alle tre fasi di una partita di tennis e intrecciandosi con le tre anime dei protagonisti. L’approccio nel montaggio e nell’editing della colonna sonora originale ha giocato un ruolo cruciale nel plasmare l’esperienza sensoriale del lungometraggio e grazie a Marco Costa e Roberta D’Angelo, rispettivamente film editor e music editor del film, che abbiamo avuto il piacere di incontrare, analizzeremo le fasi primordiali del processo creativo e le sfide affrontate, mostrandoci anche i lati più innovativi e nascosti della loro produzione musicale.
Challengers è un film che ha uno stile ben differente dai precedenti realizzati da Luca Guadagnino, con un ritmo molto forsennato e volutamente estenuante. La sua strutturazione si sviluppa in tre fasi temporali che si associano perfettamente ai tre set della partita di tennis, che si svolge contemporaneamente alla narrazione, così come ai tre protagonisti, rappresentandone perfettamente le tre anime in gioco. Qual è stato il vostro approccio nell’editing di Challengers? Ci sono state delle sfide specifiche a livello musicale che avete dovuto affrontare durante il processo di montaggio?
Marco Costa: In realtà quando abbiamo letto la sceneggiatura c’era già stato un lavoro a monte tra Luca (Guadagnino) e lo sceneggiatore Justin Kuritzkes, molto ben strutturato e narrativamente solido, quindi quando mi sono approcciato al montaggio ho cambiato ben poco a livello strutturale, quasi nulla. La sua natura era già insita nel progetto stesso. Successivamente ci siamo divertiti con il montaggio delle scelte musicali. Luca aveva già in mente di inserire all’interno del film una miscela di generi rappresentato perfettamente dalle tre composizioni che abbiamo all’inizio di Challengers, al centro della narrazione, fino al suo termine. Il brano con cui Luca voleva aprire il film era Sound the Trumpet di Henry Purcell e Benjamin Britten, eseguito da un coro di voci bianche, proprio per mettere in risalto l’innocenza dei tre protagonisti, e i momenti cruciali in cui questo brano appare determinano perfettamente il senso della narrazione così come sul finale in cui Luca ha chiesto esplicitamente a Trent Reznor ed Atticus Ross di realizzare una composizione musicale che rimarcasse la modellazione sonora che Wendy Carlos realizzò in Arancia Meccanica, facendo confluire perfettamente la loro musica nella composizione classica di Purcell e Britten a perfetta rappresentazione delle molteplici anime che rappresentano Challengers.
Roberta D’Angelo: Nonostante non abbia lavorato al film fin dalle sue prime battute, posso sicuramente dire che Luca ha le idee sempre molto chiare a livello musicale e questo ha aiutato senza dubbio sia Trent che Atticus, così come nel precedente film in cui hanno collaborato, Bones and All. Infatti sia per quanto riguarda la musica di repertorio che per quella originale, aveva già in mente un orientamento e uno stile specifico insito nella musica elettronica, nella musica dance, e questo ha facilitato notevolmente il lavoro dei due compositori che hanno reinterpretato perfettamente le idee di Luca in una maniera eccellente.
Marco Costa: Si assolutamente, Luca voleva che la musica fosse un personaggio vero e proprio all’interno della narrazione, che fosse costantemente presente e riuscisse ad accompagnare il racconto per tutta la durate del film. Proprio per questo motivo la loro composizione doveva essere spinta, alta, quasi a sovrastare i dialoghi, e la cosa più innovativa di questa scelta musicale è come riesca perfettamente a coniugare gli stessi dialoghi in un unico pattern sonoro.
Roberta D’Angelo: Infatti l’elemento interessante è stato quello di cercare perennemente l’equilibrio tra questi due fattori. Perché, ad esempio, anche in scene che sono molto intime, l’intervento della musica è sovrastante e quindi bisognava trovare quel livello specifico di mix sonoro che permettesse di far rimanere nitidi i dialoghi pur avendo una musica ad altissimo volume, così da creare questa continua emotività tra la musica e i suoi protagonisti.
Marco Costa: Ricordo che Atticus diceva che non avrebbe avuto senso mantenere una musica così bassa rispetto ai dialoghi, proprio perché si sarebbe perso tutto il senso della loro composizione e sarebbe diventato di conseguenza qualcosa di silly (sciocco). Per questo anche Luca chiedeva appunto di spingere per far si che la musica fosse ad un livello tale da essere un continuo pulsare, rimarcando perfettamente sia i battiti del cuore così come il martellante e continuo colpire della pallina da parte dei tennisti. Alla fine di per sé il tennis può quasi avere un suono rilassante ma l’idea di Luca era proprio quella di enfatizzare certi aspetti attraverso la musica techno che stimolasse le dinamiche tra i protagonisti e li accompagnasse attraverso qualcosa di veramente fantastico.
Focalizzandoci sul lavoro di music editing, per te (Roberta D’Angelo) è stato un vantaggio avere una composizione che si conformasse quasi come un unico pattern sonoro? Oppure è stato studiato a monte rispetto anche al montaggio finale del film?
Roberta D’Angelo: Solitamente la metodologia di lavoro di Trent e Atticus si sviluppa in due fasi bene precise. In primis compongono la musica originale nel loro studio, attraverso lunghe sessioni di registrazione, successivamente iniziano a editare la colonna sonora originale direttamente sul montato del film. Quindi il mio intervento è stato più che altro quello di seguire la parte del mix finale, i punti musica erano già stati precedentemente strutturati dagli stessi compositori proprio perché già da Luca avevano ricevuto delle direttive dettagliate di come strutturare la musica da loro composta. Il mio lavoro quindi si è concentrato sul riuscire a gestire tutto questo materiale e farlo corrispondere agli eventuali cambiamenti di montaggio, alle note di regia indicate da Luca, facendo sì che la musica avesse una sua storia all’interno del film. È un lavoro abbastanza basilare per un progetto come questo proprio perché ci troviamo difronte a due professionisti che hanno le idee molto chiare rispetto al proprio lavoro, tanto che lo stesso Atticus, così come Trent, partecipano attivamente con noi alle fasi di mix.
Quali sono stati le differenti sostanziali che avete notato rispetto ai precedenti lavori a cui avete collaborato con Luca Guadagnino?
Roberta D’Angelo: Entrambi abbiamo iniziato a lavorare con Luca con We Are Who We Are ed essendo una serie la gestione della musica era letteralmente differente da quanto avviene all’interno di un film, anche perché avevamo sì un compositore, Dev Hynes (Blood Orange), ma che non proveniva strettamente dal mondo della musica per il cinema. Durante le fasi di lavorazione Hynes ci inviava dei demo delle sue composizioni e penso che in quell’occasione il mio lavoro si sia conentrato più nel comprendere insieme a Marco come creare dei punti musica che fossero effettivamente efficaci. Inviandoci gli steam aperti ci dava la possibilità di tagliare e modificare ciò che aveva composto, rendendolo perfettamente conforme alla narrazione della serie, era molto aperto a questa fase di brainstorming. Invece per quanto riguarda Trent e Atticus, si tratta di un lavoro letteralmente diverso perché occupandosene direttamente loro di questa fase a noi arriva un materiale già ben strutturato.
Marco Costa: Anzi quando ci inviano la preview della loro composizione, realizzano addirittura un pre-mix della colonna effetti, dialoghi e musica associandola alle immagini. Successivamente mi viene anche indicato da Atticus la modalità con cui dovrà essere trattata la musica a livello di volumi e io spesso cerco di mantenere intatte tutte le indicazioni da loro fornite in quanto avendola composta sanno perfettamente che registro dovrà occupare all’interno del film.
Roberta D’Angelo: Esattamente, sono estremamente precisi. Infatti prima di entrare nella fase di mix si fa una riunione specifica con il fonico di mix in cui gli forniscono tutti gli elementi necessari di come la musica dovrà essere missata proprio perché il mix di un film non è semplicemente un lavoro tecnico ed ogni singolo dettaglio può inficiare sulla riuscita o meno di una colonna sonora. In particolar modo per Challengers volevano che la musica rimanesse costantemente ad un determinato livello tale da sostenere il ritmo della scena. Lavorare con loro è sempre molto stimolante perché sono molto presenti e super professionali, ti guidano verso il loro ideale di musica per il cinema.
Dal punto di vista di un montatore, la cui nomea è scherzosamente quella di essere una sorta di “nemico” del compositore in quanto in fase di montaggio utilizza musica d’appoggio di cui conseguentemente il regista può innamorarsi, il lavoro così minuzioso di Reznor e Ross può essere un vantaggio o meno per te?
Marco Costa: Ti dico subito che io e Luca non usiamo temple track (musica provvisoria) perché le riteniamo tossiche sotto tutti i punti di vista. Solitamente, cosa che è accaduta anche per Challengers, montiamo le sequenze completamente mute, mantenendo un ritmo costante mentale rispetto a quella che potrebbe essere la strada sonora da perseguire e la musica che verrà successivamente montata. Per questo durante questa fase abbiamo inserito dei cartelli, delle indicazioni molto specifiche redatte da Luca per Atticus e Trent, che potessero indicare ai compositori quali fossero le sequenze specifiche dove volevamo che fosse inserita la musica, dove doveva entrare e conseguentemente uscire. Ovviamente anche loro stessi facevano delle proposte rispetto all’utilizzo della musica composta e c’è stato senza dubbio uno scambio continuo di idee molto stimolante. Successivamente Luca è entrato sempre più nel dettaglio indicando ogni punto in cui avrebbe voluto parte della loro composizione; qual era il tema da poter sfruttare? Quale poteva essere il punto sonoro a cui collegarsi per una successiva sequenza? Mi ha fatto molto ridere che Trent in una recente intervista rilasciata insieme ad Atticus per GQ abbia detto che riguardando gli appunti tratti dalle call avute con Luca durante la lavorazione di Challengers si sia ricordato come lo stesso Guadagnino volesse che la musica girasse su tre parole chiave: “Unending homoerotic desire”. Solamente leggendo queste tre parole puoi comprendere la tensione che c’è tra i tre protagonisti.
Secondo voi Challengers si può definire a tutti gli effetti un thriller erotico?
Marco Costa: Si assolutamente, con Luca sin dalla primo giorno di montaggio abbiamo affrontato questo argomento e sapevamo qual era la strada da perseguire e cosa dovevamo andare a tirare fuori dal girato, che per fortuna era già palesemente mostrato dalle sequenze realizzate ed era stupendo. Quindi non c’era troppo da costruire, ce l’avevamo già perfettamente davanti ai nostri occhi. Anche nei tempi interni di montaggio siamo andati a cercare tante forme, provare a costruirne di molte, perché tutto il film si basa su un triangolo che come dice anche Luca stesso è un triangolo dove tutti i punti si toccano. Quindi a livello di montaggio abbiamo creato molteplici forme che potessero essere complementari, speculari, come appunto un campo da tennis. Ci sono più inquadrature dove due elementi si completano l’uno con l’altro e c’è una continua ricerca nel perseguire un determinato linguaggio che potesse comunicare e guidare lo spettatore verso quella tematica anche solo guardandola, soprattutto verso la tensione erotica che c’è nel film.
Roberta D’Angelo: Assolutamente, infatti anche quando ho parlato per la prima volta con Atticus in merito alla musica che avevano composto per il film, mi ha detto che Luca gli aveva più volte richiesto che fosse molto sexy. Quindi che fosse sì musica techno ma che rapportata ad un certo tipo di immagine, fortemente erotica e intima, diventasse conseguentemente molto fisica ed eccitante.
Infatti credo che sia molto singolare come sia al principio che alla fine del film la narrazione abbia luogo sul campo da tennis tanto da sembrare il dancefloor dove si svolge il triangolo tra i protagonisti, esaltato perfettamente dal suono e dalla musica di Reznor e Ross. In generale nella regia di Guadagnino la presenza della danza, la conformazione dei corpi, rappresenta veramente un linguaggio meta-testuale. Come avete cercato di mostrare questo aspetto apertamente?
Marco Costa: Il tennis è concepito effettivamente come un ballo e questo aspetto secondo me deriva molto dal modo di intendere la regia da parte di Luca. Come ha messo in scena i corpi che si muovono sul campo da tennis è figlio di una coreografia ben precisa ed avviene perfettamente nella scena finale dove questi due corpi specifici si avvicinano sempre di più fino ad arrivare a toccarsi. È anche stupendo il modo in cui viene rappresentato il sudore, la fatica di questi due atleti/amanti così come di Tashi nelle prime sequenze. Luca lo diceva sempre, voglio quasi che facciamo un rave party, il film deve rimarcare questo aspetto, quindi dobbiamo avere una musica fortemente d’impatto. Lo spettatore deve uscire dalla sala con la sensazione di aver partecipato a una festa.
Roberta D’Angelo: Infatti è interessante che la stessa colonna sonora sia stata rilasciata come un remix prodotto da Boys Noiz. Anche questa idea è geniale perché si collega perfettamente al concetto di rave party, di dance hall che lo stesso Guadagnino voleva mostrare.
Marco Costa: Per farti capire quanto Luca ci tenga alla collaborazione con Trent ed Atticus e alla musica di Challengers, è lui stesso che risulta autore del testo di una delle composizione su cui si fonda la colonna sonora di Challengers, Compress/Ripress.
Si può dire che Challengers punti quasi totalmente sulla rappresentazione ritmica della storia? Sul suo processo sensoriale e forsennato? E anche la scelta dei due compositori si rifà a questo aspetto?
Marco Costa: In realtà a livello ritmico, parlandoti anche del montaggio, quando abbiamo affrontato il film Luca voleva che trattandosi di una storia ambientata nel mondo del tennis venissero messi in mostra sia gli aspetti dinamici di questo sport ma anche i suoi momenti morti. Una constante comunicazione tra accelerazione e rallentamento. Quindi bisognava giocare perennemente su questi due aspetti. Era tutto costruito su questo perenne binomio. L’attesa dello scambio, il break, il colpo vincente. Invece per quanto riguarda la scelta di coinvolgere nuovamente Trent e Atticus in Challengers, Luca aveva intenzione di continuare la collaborazione inaugurata con Bones and All in quanto era nato veramente un bel connubio artistico. Tra di loro c’è moltissima stima. Ancora ricordano in alcune interviste di quando gli inviammo la versione di 4 ore di Bones and All e ne rimasero talmente tanto estasiati da non volerci far tagliare nulla (ride). Comunque mi ricordo che quando hanno realizzato le prime composizioni di Challengers ci hanno voluto invitare espressamente nel loro studio di Los Angeles così da presentarcele nel miglior modo possibile, per farci comprendere a pieno la genesi dell’opera. Penso che questo aspetto dimostri perfettamente quanto ci tengano alla collaborazione che si è venuta a creare con Luca.
Come music editor (Roberta D’Angelo), come credi che la tua professione si unisca perfettamente a prodotti di questi genere e di cosa si occupa nello specifico una professionista come te?
Roberta D’Angelo: Il music editor è un ruolo che in Italia è abbastanza nuovo. Possiamo dire che ha iniziato a imporsi come figura nella nostra industria negli ultimi 10 anni, al contrario dell’estero dove invece è già una professione molto più codificata. Devo dire che quando ho iniziato a fare questo lavoro, proprio per questo motivo, mi sono formata per due anni a Londra per comprendere a pieno la tipologia di lavoro che svolge un music editor. Lavorando lì ho potuto constatare come poteva essere effettivamente una figura con tantissime potenzialità a seconda del progetto in cui veniva coinvolto. Sicuramente può intervenire moltissimo sull’aspetto creativo di una composizione per immagini, soprattutto se il compositore si affida totalmente al suo lavoro, e solitamente sono proprio i compositori che scelgono i propri music editor con cui molto spesso condividono i loro metodi di lavorazione. Ci deve essere una forte alchimia e fiducia proprio perché può cambiare di netto il senso di una colonna sonora potendo modularne le scelte. Sicuramente è un lavoro molto più presente nel mondo seriale proprio per la conformazione degli stessi prodotti. Infatti la musica non viene ideata su scena ma di solito viene composta senza attenersi ad un montato specifico e quando il montatore inizia a lavorarci subentro io che insieme al musicista cerchiamo di capire come intervenire su ciascun punto musica.
E per Challengers è stato un vantaggio avere già il tutto precedentemente indicato?
Roberta D’Angelo: Sicuramente avere già una linea ben precisa è un vantaggio ma in generale il ruolo del music editor può essere spendibile in moltissime sezioni legate anche alla gestione del materiale compositivo, come nel caso di Challengers, ma anche nel comprendere come sfruttare la musica di repertorio e farla confluire in quella composta. Oggi i compositori hanno iniziato a comprendere il ruolo strategico che può essere rappresentato da un music editor anche solo nel risolvere le rogne (ride) quando non gli vengono approvati alcuni punti musica. In generale mi piacere essere una problem solver ma anche portare un apporto creativo alla composizione della colonna sonora diventa sicuramente molto interessante e creativo.
Ritornando al montaggio di Challengers, che interconnessione è avvenuta con alcune figure centrali del comparto sonoro come il fonico di mix, il sound designer? In alcuni casi il suono sembra quasi sovra-stimolare lo spettatore.
Marco Costa: La squadra di sound era composta dal dialogue editor Davide Favargiotti, storico collaboratore di Luca, il cui ruolo è stato fondamentale in un film così dovendo riuscire a far bucare i dialoghi a dispetto di una musica ad altissima concentrazione; Paul Carter, montatore degli effetti e sound designer, e infine Craig Berker, supervising sound editor alla prima collaborazione con Luca dopo aver lavorato a molteplici film dei fratelli Coen. In particolar modo le proposte di Berker si sono adattate perfettamente a ciò che Luca immaginava per la resa sonora del film e lo abbiamo potuto constare dopo aver visionato il film muto unicamente con gli effetti sonori da lui creati. Come puoi sentire soprattutto nella scena finale la sua conformazione doveva essere una perfetta sinfonia tra musica, montaggio e suono e questi tre componenti dovevano muoversi insieme creando qualcosa di straordinario. Luca dice sempre che la sequenza finale è stata una delle scene più complesse che abbia mai girato richiedendo molteplici giorni di lavorazione. Quindi così come la musica arriva al suo apice anche il suono doveva rimarcare lo stesso aspetto. Le palline sembrano quasi simulare un proiettile che ti viene a bucare lo schermo e ci doveva essere un continuo crescendo. Devo dire che Craig ha fatto veramente un bellissimo lavoro.
Alcuni elementi specifici del tennis, come la tipologia di corde di una racchetta, la sua intensità, il cambio pallina, sono stati registrati direttamente in scena o ricreati successivamente? Ricordo che ad esempio la composizione realizzata da James Murphy degli LCD Soundsystem per gli US Open si rifaceva proprio a degli elementi organici presenti fisicamente sul campo da tennis.
Marco Costa: Sicuramente le registrazioni dei cigolii delle scarpe sul cemento erano talmente tanto buoni che abbiamo deciso di tenerli anche nella fase di mix. Invece soprattutto per i suoni delle palline così come delle racchette abbiamo scelto di farli rifare a dei foley artist (rumorista) anche per dei limiti tecnici dovuti alla troppa vicinanza della camera alla racchetta. Per il resto hanno cercato di far rimanere il tutto organicamente collegato al campo da tennis proprio perché Luca ci teneva molto a far risaltare i determini elementi scenici che confluiscono nel climax dell’ultima sequenza. Abbiamo sicuramente cercato di non tradire questo sport che è rappresentato fortemente anche dal suono con cui si alimenta.
Roberta D’Angelo: Essendo missato in Dolby Atmos era importante costruire una matrice sonora che fosse possibile spazializzare ma che allo stesso tempo non fosse estrema proprio per mantenere l’attenzione del pubblico verso la scena, per non far disperdere il suono e creare conseguentemente una situazione di disorientamento. Secondo me è stato calibrato veramente molto bene.
Come vedete il futuro dell’intrattenimento rispetto alla valorizzazione di un film dal punto di vista del montaggio sonoro come avviene proprio in Challengers?
Roberta D’Angelo: Penso che Luca rispetto ad altri registi ha una conoscenza vera del linguaggio del cinema sotto tutti i suoi aspetti e questa cosa facilita molto il lavoro anche del comparto musicale. Sicuramente può avvenire che un regista abbia le idee un pochino vaghe su ciò che vuole a livello sonoro, ma sicuramente avere già in partenza un regista che come in questo caso ha una consapevolezza del linguaggio è determinante perché vuol dire che riesce benissimo a gestire tutti i reparti e a farli lavorare come dovrebbero. A volte ne sento la mancanza in Italia di questo aspetto. Ovviamente non dico che tutti dovrebbero essere come Luca, però a volte si perde molto tempo per arrivare poi alla soluzione migliore. In generale penso che il lavoro sul suono e sulla musica in Italia è sicuramente cresciuto negli ultimi anni, c’è una maggiore consapevolezza, merito anche delle piattaforme che hanno portato una nuova metodologia di workflow molto più internazionale. Ovviamente i nostri budget sono differenti rispetto alle produzioni internazionali, quindi riuscire a realizzare un prodotto che sia superlativo è complicato. Luca è sicuramente un regista italiano ma che ha un approccio decisamente internazionale, quasi non mi sento totalmente di considerarlo italiano sia per la produzione, sia per le competenze e per i molteplici elementi che rendono i suoi film unici.
Marco Costa: Penso che purtroppo in Italia ci sia ancora la poca abitudine ad assumere figure come il sound designer. Qualcuno che possa gestire il suono in ogni suo aspetto. Che possa interfacciarsi con il reparto registico ancor prima di iniziare lo shooting e possa instaurare fin da subito un dialogo con il regista e con il montatore. Perché penso che proprio in quella fase si possano già fornire dei suoni al montatore in modo che lui possa in seguito già utilizzarli in fase di montaggio e creare una direzione sonora e conseguentemente abituare l’orecchio del regista verso ciò che potrebbero essere l’immagine sonora definita. Ad esempio l’abbiamo fatto recentemente con Queer (nuovo film in lavorazione di Luca Gudagnino con Daniel Craig) in cui Craig Berker ci ha fornito dei suoni ancor prima di iniziare le riprese del film. Purtroppo è una figura che non è sempre presente nelle produzioni italiane e non siamo abituati soprattutto a saperla sfruttare per il bene sonoro e musicale di un film.