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“DONDA” è il manifesto di Kanye West: non un capolavoro, ma molto altro
Articolo di
Riccardo PrimaveraIn principio c’era “Yandhi”; o meglio, ci sarebbe dovuto essere, visto che quell’album non è mai uscito. O, ancora meglio, in qualche modo “Yandhi” esiste, visto che ancora oggi il web è disseminato di leak di quel disco. Ufficialmente, però, non è mai uscito: a “ye” è infatti seguito “JESUS IS KING”, una svolta epocale nell’approccio musicale di Kanye West, figlio di una sorta di rivoluzione spirituale che il rapper di Chicago ha attraversato.
Perché però, per parlare di “DONDA”, abbiamo deciso di partire da così lontano, da ormai più di tre anni fa? Perché è innegabile che l’ultimo lavoro di Kanye, forse il più ambizioso – si tratta di un duello all’ultimo sangue con “The Life Of Pablo” -, è figlio di tutto ciò che è successo al rapper e producer negli ultimi tre anni. Non lasciatevi ingannare dal titolo e dalla presenza vocale della madre, la defunta Donda West: “DONDA” è la perfetta fotografia di tutto ciò che Kanye West è stato negli ultimi tre anni, nel bene e nel male.

Quanti di voi ricordano l’annuncio del bipolarismo, poi protagonista centrale di “ye”? L’intera intervista con Letterman, nel suo talk show “My Next Guest Needs No Introduction”, rende piuttosto lampanti le ambigue condizioni psicologiche di Kanye. Il riavvicinamento a dio – in realtà sempre presente nella produzione di Kanye – è stato poi lo step successivo, protagonista di “JESUS IS KING”. Nel mezzo anche la presa di posizione a sostegno di Donald Trump e le diverse sparate pubbliche, dal tenore politico che lo collocherebbero in una destra piuttosto conservatrice – anche da lì nasce il celebre sketch di Pete Davidson su SNL, “Make Kanye 2006 Again” -, e poi un lunghissimo periodo in cui la musica è stata l’ultimo fattore a portare l’opinione pubblica a parlare di Kanye West. 11 mesi fa ci chiedevamo se avesse ancora senso considerarlo più musicista che figura pubblica, complice la surreale candidatura alle elezioni americane, e gli ancor più surreali comizi, con tanto di giubbotto antiproiettile addosso, discorsi deliranti sul suo rapporto con Kim Kardashian e la gestione della sua prima gravidanza, e molto altro. La musica non era semplicemente passata in secondo piano, era praticamente scomparsa dai radar.
Poi, dicevamo, “DONDA”. Un progetto costruito alla perfezione, il cui lato comunicativo e promozionale ha di nuovo stupito tutti, pubblico e critica. Le continue e ripetute frecciatine e provocazioni negli ultimi mesi tra lui e Drake, con l’ipotesi che i due potessero pubblicare i rispettivi album nello stesso giorno, ha ricreato un clima di tensione agonistica che non si viveva da quando lo stesso West si giocava la corona del rap game con 50 Cent. Era il 2007, e la vittoria numerica di Kanye aveva sancito la fine del periodo d’oro di un certo tipo di rap machista, sconfitto dalla sensibile introspezione di un ragazzo di Chicago tanto geniale a produrre, quanto furbo a rappare. Kanye infatti non è mai stato un liricista del livello di Jay Z, o un rapper incredibilmente tecnico; ha però saputo cogliere, prima di molti, quali fossero i temi da trattare per ribaltare paradigmi di scrittura che avevano iniziato a stufare il pubblico. Ecco perché, anche come rapper, il suo impatto rimane rivoluzionario. Una rivoluzione che continua in “DONDA”, ma non nella scrittura, e neanche nel sound – per quanto, in diversi punti, sia davvero eccezionale. Questa volta a farla da padrone è stata la modalità di rilascio: croce e delizia, come vedremo tra poco.

Uno, due, tre listening party, in diverse città d’America. Una, due, tre versioni diverse del disco. Un evento, anzi, un gruppo di eventi, senza precedenti. Stage costruiti nel minimo dettaglio, passando da un’arena deserta alla ricostruzione della casa in cui ha vissuto la sua infanzia. Performance che oscillavano dal minimale, al librarsi sospeso in aria, al prendere fuoco, al mettere in scena il matrimonio con Kim – nell’anno in cui tutti i media continuano a ribadire la certezza del loro divorzio. Un tripudio d’immagini, iconografie, suoni e luci che hanno mandato in visibilio non solo i presenti, ma anche i collegati da casa, frantumando i record di streaming di Apple TV. Un circo che, tra merchandising, live stream e diritti annessi, ha fruttato a Mr. West ben 12 milioni di dollari, mentre il disco doveva ancora ufficialmente vedere la luce.
Eppure “DONDA” era già lì, in più versioni, alla portata di tutti, ovunque sul web. In tanti hanno iniziato a pensare che questa experience fosse in realtà l’album stesso, e che non ci sarebbe stata alcuna release ufficiale. Una versione 2.0, riveduta e corretta quindi, di quanto successo con “Yandhi”. Ovviamente neanche le previsioni più alternative riescono a star dietro all’estro creativo di Kanye, e alla fine il disco è uscito davvero, il 29 agosto.
A quanto pare, però, tramite un post su Instagram, ci viene riferito che il disco è uscito non per sua volontà, ma per quella di Universal. La stessa Universal che, nel periodo in cui il suo stato mentale era piuttosto fragile, Kanye aveva attaccato su ogni versante, arrivando a rivelare pubblicamente i dettagli dei loro contratti. Dubitiamo sia una forma di ritorsione della major, ma dubitiamo anche delle parole di West – ormai è l’approccio standard nei suoi confronti -, quindi forse la verità sta nel mezzo, o forse ha davvero ragione lui, o forse ha mentito spudoratamente. Fatto sta che l’album è uscito, e anche l’incriminata “Jail 2” con DaBaby è stata aggiunta alla tracklist. Tutto è bene quel che finisce bene, giusto?

Sbagliato.
Se l’accoglienza nelle prime ore è stata sbalorditiva – infranti di nuovo una montagna di record su qualunque piattaforma di streaming -, la bolla nei giorni successivi ha iniziato a sgonfiarsi. Non quella dei play su Spotify e Apple Music, ma quella mediatica. L’interesse sembra infatti scemare in fretta, troppo in fretta, considerata la minuziosa costruzione del percorso che ha portato fino a qui. Cos’è andato storto? Anzi, cos’è andato così storto da permettere all’account Twitter di Peppa Pig – sì, QUELLA Peppa Pig -, di potersi fare letteralmente beffe di West? Su Pitchfork, una delle webzine musicali più lette al mondo, “DONDA” si è aggiudicato un deludente 6.0, il disco di Peppa Pig 6.5, “senza listening party al Mercedes Benz Stadium”, come fa notare il tweet incriminato. Ecco, a proposito di scenari imprevedibili, ormai una prassi nel caso di Kanye, questo è davvero fuori da ogni logica.
A questo punto c’è da cercare una spiegazione sul perché di questa valutazione e, in generale, dei tiepidi consensi generati nei giorni successivi alla release. Il problema di “DONDA” non è la musica in sé, o perlomeno, non è il problema principale. Certo, un disco di 27 tracce, con una durata totale di quasi due ore, è difficile da digerire. Certo, ci sono i gusti di mezzo, quindi non tutto può piacere. Certo, c’è una maggiore uniformità di atmosfere rispetto a “The Life Of Pablo”, e una certa predominanza di un sound cupo, elettronico, a tratti (volutamente) sporco. E certo, ci sono anche scelte tutt’ora incomprensibili, come l’inserimento in tracklist di “Tell The Vision”, 1 minuto e 44 secondi che arrivano direttamente dalla bozza del brano con lo stesso titolo contenuto in “Faith” di Pop Smoke. Scelta DAVVERO incomprensibile.
Però c’è anche molto, molto altro. C’è il “This might be the return of the Throne”, Jay Z e Kanye di nuovo insieme, un accenno a un possibile “Watch The Throne 2”. C’è un Fivio Foreign in “Off The Grid” in forma semplicemente divina. C’è l’accoppiata Lil Baby e The Weeknd che scatenerebbe emozioni in chiunque. Ci sono Baby Keem e Travis Scott che riportano alla luce atmosfere che non si vedevano dai tempi di “Rodeo”. C’è “Heaven and Hell” con il suo sample, c’è il team Griselda, ci sono le riedizioni delle tracce con un DaBaby in formissima – e sempre al centro di turbinii mediatici -, con Marylin Manson, con i The LOX. C’è davvero un sacco di ottimo rap che, per quanto diluito in 27 tracce non sempre della stessa caratura, rimane davvero ottimo. E anche la scrittura di Kanye non delude a livello di costanza, per quanto sia difficile rivedersi nelle sue parole – l’atteggiamento è sempre cristiano-conservatore, a volte il lessico è gratuito nella sua volgarità, altre volte rincorre un’elevata spiritualità, in altre si perde nel puro egotrip. Di sicuro i tempi di “808 & Heartbreak”, in cui era davvero facile rivedersi nelle sue sofferenze, sembrano legati ad un’era geologica fa.

E allora dicevamo, se la qualità c’è, pur con qualche pecca, perché questa specie di stroncatura? Forse la risposta è da cercare nello spietato meccanismo dell’hype, che Kanye ha sfruttato alla perfezione a suo favore, ma che forse gli si è ritorto contro. Come già scritto, “DONDA” era sostanzialmente online ben prima del 29 agosto, in tutte le sue salse. Dopo una serie di sorprese, cambiamenti, ed evoluzioni, chi di voi non si aspettava l’ennesimo colpo di genio all’interno della release ufficiale? Qualche novità imprevista, qualche cambiamento totalmente inaspettato? E invece nulla. Il 95% di “DONDA” era già nelle nostre cuffie, e involontariamente ciò ci ha deluso. Ha raffreddato l’esaltazione per la release ufficiale. Per ogni persona che sapeva già a memoria diverse strofe, se non interi brani, c’era qualcun altro che ha skippato due terzi di disco già al primo ascolto, perché sapeva cosa aspettarsi. Ecco perché, se si vanno a controllare i numeri su Spotify, c’è una disomogeneità incredibile tra gli stream delle varie canzoni. “Hurricane” ha più di 26 milioni di stream, “Come to life” solo 7, le ultime due in tracklist poco più di 5. Una discrepanza notevole, considerato che il disco è uscito solo da qualche giorno. Se però lo conosci già a memoria, non lo riascolti tutto, fai le tue selezioni, crei le tue playlist, e ti svincoli dall’esperienza di ascolto dell’album. Proprio quell’esperienza che si era rivelata il punto di forza degli eventi di presentazione.
In conclusione, è difficile, anzi, impossibile analizzare “DONDA” solo dal punto di vista musicale. In un mondo utopico sarebbe doveroso farlo, e il giudizio nei confronti di quest’album non potrebbe che essere positivo. Non è un capolavoro immortale, ma è un ottimo disco, con dei picchi notevoli. È la fotografia di quello che Kanye è stato negli ultimi anni: geniale, estroso, imprevedibile, ma anche confuso, contraddittorio, a volte incomprensibile, altre ingiustificabile. Saperlo influisce inevitabilmente sul modo in cui il disco viene percepito, e lo stesso vale per il modo in cui è stato svelato nei listening party. Una “pubblicazione non ufficiale” che, forse, ha penalizzato quella ufficiale. O forse no, sono solo supposizioni, non c’è una risposta univoca. “DONDA” è un lavoro così articolato e dispersivo da essere squisitamente soggettivo alle orecchie dell’ascoltatore: d’altronde, “Donda Chant” ha diversi milioni di stream in più di molte delle canzoni contenute nel progetto. Ci può davvero essere una spiegazione oggettiva e univoca a tutto ciò?
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