Il cantautorato nel nuovo album di Marracash

E così Marracash lo ha fatto ancora. Dopo Noi, loro, gli altri il rapper di Barona ha rilasciato un altro album a sorpresa, la conferma di come ormai abbia le spalle larghe abbastanza da potersi allontanare da qualsiasi logica di promozione. Stavolta il classico post sui social è arrivato persino dopo la pubblicazione. Fabio Rizzo non ha bisogno di annunciare i suoi album, né tantomeno sente il bisogno di avere dei featuring, nemmeno di quello storico del suo compare Gué Pequeno.

Le uniche stelle polari che lo guidano, evidentemente, sono la sua necessità di esprimersi e il suo gusto musicale. È in questa chiave che va letto il titolo. È finita la pace lasciava prefigurare un Marracash battagliero nei confronti della scena rap, pronto a mettere l’elmetto e a rispolverare la sua versione più ortodossamente hip hop: il power slap con cui avrebbe mandato al tappeto la concorrenza. Invece la intro è il solo episodio muscolare dell’album. Non è il Marracash di Status che annunciava di essere tornato “non per proporre, ma per distruggere”È finita la pace va letto in tutt’altro modo. La pace che si è esaurita, probabilmente, era quella interiore dell’artista. È finita la pace e allora Marracash ha sentito l’esigenza di scrivere. Di parlare di ferite del passato, di relazioni, dell’industria musicale e del suo punto di vista sull’attualità.

Le concessioni più puramente hip hop sono la già citata intro, Power Slap, e il pezzo successivo, Crash, in cui i fedelissimi Marz e Zef hanno ripreso a modo loro la strumentale della leggendaria Street Opera di Fritz da Cat e Lord Bean. Poi, certo, c’è sempre la scrittura, fitta, profonda e curata ad un livello di maniacalità per cui probabilmente Marracash è e rimarrà la miglior penna della storia del rap italiano. Però, per il resto, È finita la pace segue direttrici diverse, di respiro più ampio rispetto al suo genere di origine, senza alcuna nota di giudizio, anche perché sono passate poche ore dalla release e per valutare il portato di un album ci vuole sempre del tempo.

Se nel suo album precedente il gusto per gli altri generi aveva toccato la sua massima espressione col sample de Gli angeli di Vasco Rossi, tutto il nuovo album si ispira a sonorità lontane dai canoni del rap. Marra usa i campioni, ma non lo fa per rimanere nell’alveo del rap, come accade di solito.

Così emerge tutta la passione di Marracash per il cantautorato italiano, genere verso il quale ha sempre aspirato in maniera più o meno esplicita e che in passato ha anche paragonato all’hip hop. C’è la voce di Stefano D’Orazio in Uomini Soli, quella di Ivan Graziani in Firenze, utilizzata per la titletrack, quella di Bluem in Lunedì

E c’è, in generale, il gusto per quella musica un po’ alla frontiera tra più generi, esemplificata dal beat de Gli sbandati hanno perso, dove sullo sfondo è possibile riconoscere la cupezza di Crazy degli Gnarls Barkley.

Poi è chiaro, Marracash è un artista con un repertorio talmente vasto che non possono mancare i riferimenti al passato in cui era lontana questa sua versione. Crash ricorda Crack, brano di Status, non solo per allitterazione, ma anche per l’insoddisfazione che il rapper di Barona esprime nei confronti di ciò che lo circonda e per l’urlo sul finale di canzone. Troi*, invece, riprende un brano di 14 anni fa, solo che sposta l’asterisco (quello di chiamava *Roie) e di conseguenza il punto di vista, dato che la questione non è il genere femminile ma la debolezza della carne di Marracash.

@outpump Marracash ci racconta il suo ultimo album: È FINITA LA PACE💿. Lo state ascoltando? #marracash #marra #rapitaliano #rap #marracashalbum #outpump #perte ♬ VITTIMA – Marracash

In generale, però, l’unico passato a cui il nuovo album sembra legarsi è quello recente. È finita la pace restituisce una versione di Marracash che estremizza il percorso iniziato con Persona. Così, le dosi di punchline e braggadocio rimangono minime, anche rispetto alle volte in cui si cimenta in ritornelli cantati.

La selezione musicale, quindi, condiziona un album in cui comunque compaiono temi ricorrenti per Marracash, non solo nell’introspezione che ormai sembra essere la sua cifra stilistica e che tocca il suo picco in Vittima. Ci sono episodi di satira, le dipendenze, che si tratti di sostanze o di una donna, di Detox/Rehab, l’immedesimazione in quel mondo nel quale si alzava presto e spostava i bancali in Factotum.

E alla fine il viaggio si conclude in Happy End, traccia conclusiva che rischiara il resto dell’album, scritta quasi con lo scopo di mettere le cose in prospettiva e di illustrare le scelte dietro È finita la pace, se non direttamente di spiegare tutta la parabola dell’artista da Persona in poi. 

È come se Marracash dal 2019, anno spartiacque per la sua carriera, avesse iniziato a prendere quota grazie a determinate scelte nella musica e nei temi e poi fosse esploso con l’album di stamattina: proprio come una bolla.

L’outro, in cui afferma che «É finita la pace, l’accondiscendenza/ C’è una nuova pace, la consapevolezza», apre uno squarcio sul futuro e lascia un punto interrogativo. Dobbiamo considerare Persona, Noi, loro gli altri e È finita la pace come una trilogia, dopo la quale Marracash farà qualcosa di diverso? Se così fosse, acquisterebbe tutt’altro senso la barra introduttiva dell’album, «Sono tornato nuovo di nuovo per finire il lavoro», perché questa per lui doveva essere davvero la chiusura di un percorso. Oppure sono solo interpretazioni libere di noi fruitori, etichette di comodo, utili al pubblico che prova a dare un senso a ciò che ascolta e a chi ne scrive? Lo scopriremo solo al prossimo album, probabilmente.