“In principio ci fu la rivoluzione”. No, non è l’introduzione di un film post-apocalittico, o dell’antico testamento, o di un romanzo di Ken Follett. Potrebbero però essere l’incipit perfetto per il racconto di ciò che è successo al rap italiano dal 2015/2016. Quella che allora veniva considerata la nuova scuola, quel mix micidiale di sfrontatezza, arroganza, autocelebrazione, estetica dirompente e sonorità di rottura. La “classe” di Sfera Ebbasta, Ghali, Dark Polo Gang, Tedua, Izi, Rkomi, poco dopo Lazza ed Ernia. Una sorta di temibile scolaresca che ha letteralmente rivoluzionato le regole di quell’istituto che rispondeva al nome di rap italiano. In principio, quindi, ci fu la rivoluzione.
E oggi, cinque anni dopo? Oggi quella rivoluzione continua a riecheggiare, ma non riecheggia più nel rap; o meglio, la sua forza rivoluzionaria non applica più scossoni al rap italiano, ma al pop italiano. Il primo, infatti, è ora in mano al trend della drill, scatenatosi in tutta la sua potenza a partire dal collettivo Seven 7oo. Di pari passo sembra avvicinarsi un ritorno ad una scrittura più impegnata (forse figlia degli ultimi due anni di pandemia), guidata dal clamoroso successo di un disco come “Persona”, e rinforzata da progetti come quello di Massimo Pericolo, di J Lord, di Vettosi, di Touchè, di Silent Bob, dei mixtape tutti barre e citazioni di Guè ed Emis Killa. La scena sta continuando a cambiare pelle a ritmi vertiginosi, solo il tempo saprà dirci se uno di questi trend riuscirà ad imporsi con la stessa forza omogeneizzante con cui la trap di cinque anni fa aveva fatto. Per quanto riguarda il pop italiano, beh, quella è tutta un’altra storia.
Sono passati pochi giorni da quando un Chiello in versione pop-rock-punk calcava il palco di X Factor, accompagnato da un’intera band con Shablo alla batteria. I tempi in cui la sua voce faceva capolino ne “La prova del cuoco”, contenuta all’interno del disco d’esordio degli FSK, sembrano ormai lontanissimi. Non che non avesse già dimostrato una vena lontana da quella del collettivo, leggi alla voce “Acqua Salata”. Eppure, era impossibile prevedere una rivoluzione stilistica ed estetica di questa portata. “Oceano Paradiso”, però, l’ha imposta, per giunta con risultati eccezionali. Questa evoluzione di Chiello piace, e piace anche a chi stravedeva per lui ai tempi di “FSK Trapshit”. Una transizione fluida e impeccabile, ribadita in “La strega del frutteto”, primo singolo del nuovo producer album di Sick Luke. Già, quel Sick Luke che con la Dark Polo Gang è stato tra i protagonisti assoluti – anzi, insieme a Charlie Charles, forse IL protagonista assoluto – dell’imporsi del sound trap in Italia. Eppure il primo singolo del suo album va in tutt’altra direzione, una direzione squisitamente pop, nell’accezione più positiva del termine. Ricercato, raffinato, che sfrutta al meglio le voci di Chiello e Madame.
Già, la stessa Madame che, agli esordi, con “Sciccherie”, aveva lasciato intravedere un possibile nuovo paradigma per il rap in Italia, e non solo quello femminile. Una personalità artistica incontenibile, una rara capacità di mescolare rap e melodie, una scrittura per immagini fortissima, intensa, senza peli sulla lingua – come nel più classico degli approcci al rap -, ma un sound libero da qualunque classificazione. Oggi non cerca di essere classificata, ma domina le classifiche, dopo aver stupito il pubblico nazionalpopolare a Sanremo. Oggi è, insieme a Gazzelle, l’unico featuring nel nuovo disco di Marco Mengoni, esponente per eccellenza di quella che era la scuola “precedente” del pop italiano.
Se per quasi un decennio è stata la formula dei talent a dominare il pop italiano, non solo in termini di classifica, ma anche in termini stilistici – Marco Carta, Emma Marrone, Valerio Scanu, Alessandra Amoroso e altri ancora da Amici, ma anche lo stesso Mengoni, Francesca Michelin, Lorenzo Fragola da X Factor -, oggi qualcosa è cambiato. E non lasciatevi ingannare dallo straripante successo di Sangiovanni, che ha radici più urban di quanto non tradisca; non a caso è stato supportato in maniera costante da Madame lungo tutto il suo percorso nella scuola di Maria De Filippi. Oggi il pop italiano si nutre della linfa vitale portata in scena da molti nomi che, all’inizio, erano parte integrante della scena rap, al limite urban.
Chiello, Madame, il nuovo singolo di Sick Luke sono solo tre esempi di una rivoluzione dai connotati molto più intensi, e che si muove su più livelli del pop italiano. Rkomi è un altro esempio lampante, arrivato alla maturità artistica con “Taxi Driver”, un disco che ha dato uno scossone forte e deciso al mercato italiano, senza però rappresentare una rivoluzione copernicana nel percorso dell’artista milanese. “Dove Gli Occhi Non Arrivano” si muoveva già in quella direzione, ma forse troppo bruscamente, nomi quali Elisa e Jovanotti davano un’accelerata troppo prematura alla virata verso il pop. Meglio farla in compagnia di quella stessa classe con cui si era rivoluzionato il rap: ecco quindi che il successo per antonomasia della carriera di Rkomi (finora) lo vede in compagnia di Sfera Ebbasta, Ernia, Chiello. E ben vengano colossi di un’altra scuola del pop, come Tommaso Paradiso e Gazzelle, se poi l’orchestra è completata da Roshelle, Gaia, Irama, Tommy Dalì e Ariete.
Ariete, penna classe 2002, è un’altra esponente per eccellenza di questo nuovo pop. Di matrice cantautorale, in Italia classificato come indie – per comodità forse -, ma le cui radici si legano più al rap che al filone che storicamente in Italia è legato al concetto di cantautorato. Così come nel caso degli Psicologi. Franco126, dopo aver rivoluzionato il suono del rap italiano insieme a Carl Brave – “Polaroid” è forse il disco rap più “italiano” di sempre, perché inserisce nell’equazione l’uso di un suono che è proprio nostro, non americano, francese o inglese -, si è affermato come un cantautore con la C maiuscola, ma viene dal rap, e ci tiene a ribadirlo, come quando compare nei dischi di Noyz Narcos, o persino di Gionni Gioielli. Lo stesso vale per Carl Brave, eccezionale nel pop, ma sempre disposto a rappare, come in “Codice PIN”, contenuta in “QVC8” di Gemitaiz.
L’elenco potrebbe continuare, e per molto. Blanco non è un rapper, eppure ha conquistato il mondo del pop rimanendo saldamente legato all’urban. “OBE” di Mace è un disco dalle infinite sfumature, ma Mace ha prodotto “La Creme” con Jack The Smoker, ha portato avanti per anni uno dei primi party trap di Milano, ma è anche perennemente in studio con Venerus. Mida un anno fa partecipava al cypher di Real Talk, oggi il suo nome è in rapidissima ascesa, la sua “Ricordarmi di scordarti” è una hit pop virale da milioni di stream in pochi mesi, ed è anche nell’elenco dei partecipanti a Sanremo Giovani.
Persino nomi ancora saldamente nel rap hanno saputo dare scossoni decisi al pop. Lo ha fatto Sfera Ebbasta sin da tempi non sospetti, chiamando la riedizione di “Rockstar” la “Popstar Edition”. Non era un caso. Come non è un caso che “Superclassico” di Ernia si sia rivelato uno dei fenomeni musicali più incredibili degli ultimi anni. È un brano pop, ma nella misura in cui una certa influenza da parte del rap sta ridisegnando il pop. Non è pop nel modo in cui lo è “Per tutte le volte che…”, uno dei singoli più di successo di Valerio Scanu, tanto per fare un esempio. “Superclassico” è la perfetta evoluzione di un approccio alla scrittura che Ernia aveva già messo in mostra nel 2017, quando la sua “Bella” diventava già un anthem d’amore tra gli adolescenti appassionati di rap italiano. È un cerchio che si chiude.
Anzi, un cerchio che si apre e continua ad allargarsi. Perché il legame tra rap e pop italiano sembra destinato a durare nei prossimi anni, continuando ad espandersi verso acque inesplorate, verso altri lidi. No, la citazione non è casuale. Provate ad ascoltare questa versione di quel brano; aiuta a capire perché, forse, quest’evoluzione non va combattuta, ma abbracciata. Non ci toglie dell’ottimo rap, che continua a proliferare su più livelli, con nomi nuovi; ci regala un ottimo pop, diverso da quello che per anni ha combattuto surreali crociate contro il rap italiano. E questo è ASSOLUTAMENTE un bene.