Avete mai sentito l’espressione “fashionably late”? Viene utilizzata per riferirsi a qualcuno che si fa vivo tardi – solitamente a una festa o ad un evento dove è atteso – non perché sia effettivamente in ritardo, ma perché lo è volutamente.
È un’arte quella di essere “fashionably late” che ha molto a che fare con la percezione che si è in grado di trasmettere agli altri. Un’arte che appartiene a pochi, anzi pochissimi. Per praticarla serve generare la giusta attesa, portarla fino al limite massimo consentito e, solo quando la corda si sta per spezzare, entrare in scena con grande stile, tanto da rendere la snervante attesa che ha preceduto quel momento un lontano ricordo. Difficile capire se ci sia un trucco o se sia vera magia.
Ecco, se c’è qualcuno che riesce a muoversi con maestria in questo stretto corridoio che divide aspettative e delusioni, quello è senza dubbio Playboi Carti. In caso non ve ne foste accorti – a distanza di oltre 4 anni dalla sfrontatezza punk di Whole Lotta Red – è finalmente arrivato il suo nuovo (e attesissimo) album: Music (o I Am Music, come recita la copertina).
In mezzo è successo tutto e il contrario di tutto: leak, featuring di prim’ordine, hit conclamate, tracklist fake, promesse non mantenute, ritardi ingiustificati e speculazioni a vario titolo. Sono cambiate le date delle release, saltati i piani e modificati i titoli dei progetti. L’unica cosa che non è mai cambiata è l’attesa dei suoi fan. Nonostante tutto, l’hype nei confronti del suo quarto progetto non è mai scemato.
Ma come è possibile tutto ciò?
Generare mistero. È sempre la solita vecchia storia: alla fine vince chi va controcorrente e riesce a sopportarne il peso. In un mondo di stimoli e input continui – dove rapper, musicisti e influencer si sentono obbligati ad alimentare l’interesse del pubblico ribadendo continuamente la propria presenza – risalta chi ha le spalle abbastanza larghe da mettere sulla bilancia il peso della propria assenza.
Mostrarsi disinteressati nei confronti del pubblico nell’epoca in cui tutto è disponibile on demand, su richiesta, genera uno strano mix tra frustrazione e curiosità. È proprio su quella sensazione che lavora Playboi Carti.
Dosare il contenuto. Il mistero però, di per sé, non basta a generare interesse. Ed ecco che subentra un’altra strategia: bisogna dosare il contenuto, rilasciarlo al momento giusto, magari utilizzando snippet o leak come armi per testare il pubblico continuando a stuzzicarne la curiosità.
Ed ecco spiegato perché quando tutti si aspettano un progetto ufficiale Carti rilascia un video su YouTube, quando tutti si aspettano un singolo Carti pubblica un’opera d’arte sul feed di @opium_00pium, quando nessuno si aspetta più nulla Carti pubblica un album di 30 tracce.
Creare un culto attorno a sé. Il mistero e la siccità di contenuti producono un’attenzione anomala che sfocia quasi nel complottismo. Vista la scarsità, i fan finiscono per vivisezionare ogni briciola che Carti lascia volutamente sui social o, inavvertitamente, nella sua vita privata. Ciò alimenta una cultura composta da doppi significati e richiami velati che esiste solamente negli occhi di chi guarda.
Ed ecco che attorno alla figura del rapper di Atlanta nasce una vera e propria cultura con i suoi principi e le sue regole. Per questo non stupisce che il suo arresto per presunti abusi diventi una call to action agli occhi dei fan e il suo mugshotun simbolo di solidarietà.
Essere divisivi. Quanto detto fin ora deve essere necessariamente supportato dalla musica (e dall’estetica che l’accompagna). Ed in questo, va detto, la cifra di Carti è strettamente legata alla sperimentazione. Non c’è nulla di generalista nel rapper di Magnolia. Anche se – ormai è chiaro a tutti – lavorare con costanza su una nicchia è l’unico vero modo per essere generalisti a lungo termine.
Questa vibe sperimentale è stata declinata da Carti in diverse fasi della sua carriera che possono essere suddivise, a grandi linee, in questo modo: la fase Cash Carti che riguarda il periodo degli albori; la fase Playboi Carti che trova la massima espressione nel mixtape omonimo che lo ha reso famoso (nel quale è contenuta la sua prima grande hit Magnolia), la fase Die Lit dove ha iniziato ad utilizzare la Baby Voice; la fase Whole Lotta Red dove ha codificato la musica Rage. Dopodiché è iniziata la Vamp Era che ci ha accompagnato fino all’uscita di quest’ultimo album dove sono evidenti le sue influenze musicali – dal suono di Atlanta a Lil Wayne – e la pervasività di synth industrial ed electro pop.
È indubbio che l’interesse suscitato da Carti non sia legato alle sue abilità tecniche e liriche al microfono. Per questo il pubblico si spacca a metà: da una parte chi, comprensibilmente, non riesce a concepire l’attenzione ottenuta dal rapper di Atlanta. Dall’altra chi si nutre della sua vibe, della sua aura, dell’energia che è in grado di suscitare attraverso la musica.
Il legame con la fanbase. Proprio questa spaccatura del pubblico generalista contribuisce a rendere ancora più affiatata e compatta la sua fan base. Se è vero che i fan di Playboi Carti sono spesso delusi dal loro idolo, dall’altro lato Carti non manca di premiare questa fedeltà incondizionata che gli ascoltatori dimostrano nei suoi confronti.
Motivo per cui può capitare che Carti risponda personalmente ai suoi follower in DM, che ascolti le
“preghiere” di un fan che gli supplica di pubblicare nuova musica o che si prodighi in complimenti per l’aura o per l’outfit di chi lo incontra personalmente. Quest’attenzione riservata al singolo individuo cementificaancora di più la fanbase creando una certa FOMO per chi non fa parte della cerchia magica. Va da sé che la curiosità aumenta anche in chi non lo segue.
Fashionably Late. Se siamo tutti così attenti quando Playboi Carti fa qualcosa è perché, banalmente, spesso non fa proprio nulla. Per fortuna però, alla fine, anche se in ritardo, qualcosa fa davvero. E quel qualcosa è Music. Aldilà dell’hype e di tutto ciò che ci si costruisce attorno.
Se ancora vi state chiedendo perché siamo tutti ossessionati da Playboi Carti significa che il rapper di Atlanta ha vinto l’unica vera guerra del 21esimo secolo: quella dell’attenzione.