A distanza di pochi giorni dalla concentrazione di rumours riguardanti un contratto di fornitura tecnica già firmato con il Newcastle United, si è tornati a parlare di Castore, ma questa volta in merito ad un altro club inglese: il giovane brand britannico, oltre ai Magpies, avrebbe infatti trovato un accordo pure con il Wolverhampton, che sarà ufficializzato a breve e che partirà dalla prossima stagione.
Il prepotente ingresso di questo marchio sportivo semisconosciuto nel quadro della Premier League, spodestando rispettivamente PUMA e adidas e per di più al fianco di due squadre così blasonate, dice moltissimo delle ambizioni di Castore, che già al momento della firma del contratto quinquennale con i Rangers di Glasgow, nello scorso maggio, aveva dichiarato per bocca dei due fondatori che avrebbe siglato almeno cinque accordi di sponsorizzazione con top club europei nel giro di un anno e mezzo. E proprio per questo motivo non deve neanche stupire il recente accostamento di Castore con l’AS Roma, alla ricerca di un nuovo partner per le prossime stagioni dopo la fine anticipata del rapporto con Nike.
Sebbene possa sembrare un passo indietro nella scalata dei Wolves iniziata ormai da qualche anno, la scelta di legarsi a Castore invece è molto significativa. Non è un caso che Castore abbia scelto di puntare anche sul Newcastle: anche se molti sostengono ci sia lo zampino del patron Mike Ashley (il businessman che già in passato fu proprietario proprio dei Rangers e che è il CEO di Sports Direct da quasi 30 anni), la città del nord dell’Inghilterra dove Phil Beahon, il fratello minore dei due ideatori del brand, aveva studiato legge prima di lanciare il progetto Castore, nel 2016 a soli 22 anni. Beahon, ex dipendente di Deloitte che nel 2019 figurava tra i più promettenti under 30 del suo Paese secondo Forbes, può vantare anche un passato da giocatore di cricket, a differenza del fratello maggiore Tom, che invece dopo anni trascorsi nelle file dei Tranmere Rovers non riuscì a sfondare nel mondo del calcio.
Terminate le aspirazioni sportive, ai due giovani originari di Liverpool venne la brillante idea di fondare un marchio sportivo alternativo ai brand di massa, che fosse più ricercato e adatto a clienti più facoltosi. Castore fin da subito si presentò come un premium luxury sportswear brand e fu inevitabilmente posizionato molto in alto sul mercato, praticamente agli antipodi del concetto di fast fashion che aveva sbancato nel decennio precedente.
I fratelli Beahon decisero di scommettere sulla qualità, su materiali innovativi e tessuti cinque volte più cari provenienti dall’Italia, che potessero davvero accontentare una clientela esigente come quella degli sportivi garantendo prestazioni superiori alla norma. Per proseguire con il loro progetto imprenditoriale i due ottennero presto grossi capitali a disposizione grazie ad una lunga sfilza di investitori privati, taluni già famosi (Robert Senior, CEO di Saatchi & Saatchi, e Arnaud Massenet, fondatore di Net-A-Porter) e altri tutt’oggi sconosciuti, tra cui pare figurino anche i Reuben Brothers, la terza famiglia più facoltosa del Paese.
La chiusura dell’accordo tra Castore e due club di Premier League arriva poche ore dopo l’ufficialità di un altro affare molto importante, quello che riguarda una collaborazione tra il brand inglese e McLaren per una nuova linea di abbigliamento sportivo. Una mossa strategica, che permetterà ad entrambe le aziende inglesi di rafforzarsi sfruttando i benefici economici dell’ennesima connessione tra il mondo dell’automotive e quello del fashion, in scia delle recenti e fortunate partnership Mercedes-Virgil Abloh e BMW-Kith. Per Castore è il primo passo nel mondo dei motori, dopo le recenti esperienze con calcio (con i Rangers appunto, protagonisti di questa edizione di Europa League), ma anche rugby, cricket e tennis.
Prima di diventare global sportswear brand della squadra scozzese, infatti, Castore ha raggiunto una discreta popolarità a livello internazionale diventando nel gennaio del 2019 kit partner di Andy Murray, il tennista scozzese che ha indossato i nuovi indumenti già nel corso degli Australian Open (conclusi al primo turno e seguiti da una storica conferenza stampa durante la quale, in lacrime, ha annunciato il ritiro) e che successivamente ha vestito una linea disegnata apposta per lui, chiamata semplicemente AMC. Come ha dichiarato in una bella intervista rilasciata a SportsPro, si tratta di un qualcosa di diverso rispetto alle solite partnership marchio-atleta in cui si viene pagati per indossare una maglietta in campo e scattare qualche foto, ma gli darà la possibilità di sentirsi coinvolto in questo business anche quando avrà smesso. La prima conseguenza è stata che nel frattempo, a marzo 2019, il due volte campione di Wimbledon e medaglia oro olimpica ha infatti deciso di diventare, anche lui, un investitore. La seconda, invece, ed è notizia di poche ore fa, è che Andy Murray ha fatto da passepartout perché Castore potesse firmare un accordo molto articolato e prestigioso con la LTA (Lawn Tennis Association), l’ente governativo del tennis britannico.
Tra i tratti più significativi di Castore c’è la volontà di essere digital first e di puntare quasi esclusivamente sul mercato online (che rappresenta l’85% delle entrate totali, a discapito dei rivenditori fisici, tra cui spicca il simbolico pop-up aperto tempo fa nel ricco quartiere di Knightsbridge, a Londra), una strategia ben precisa che ha contribuito a non interrompere lo sviluppo del marchio neanche in tempo di lockdown e che è servita a guadagnare molto terreno rispetto ai competitor naturali come Nike, adidas, PUMA e Under Armour, da cui però Castore continua a differenziarsi per la qualità dei prodotti e dai quali ha più volte dichiarato di volersi discostare per poter crescere.
Una delle differenze più evidenti tra Castore e i brand più “commerciali” è sicuramente quella che riguarda la natura del rapporto di fornitura, professionalmente molto più intimo e curato: oltre alle garanzie in termini di velocità (Castore è stato in grado di gestire l’intera operazione Rangers in soli sei mesi, comprensivi di realizzazione e spedizione dei kit, mentre i grossi brand ne richiedono dodici o anche diciotto), viene riservata un’attenzione decisamente maggiore (le maglie vengono studiate appositamente per il club senza utilizzare template da catalogo) ed è stata elaborata una nuova formula contrattuale, una rivoluzione sul tema dei ricavi, basata sulla crescita condivisa e un differente tasso di guadagno sulle royalties, senza importi fissi.
Nel frattempo Castore, che sarebbe ad un passo dall’aggiungere al proprio portfolio anche la gloriosa squadra di rugby dei Saracens, ha rafforzato la schiera degli ambassador (puntando quasi esclusivamente atleti anglosassoni come i tennisti Lloyd Glasspool, Courtney e Benjamin Lock, Eden Silva; il vogatore Joel Cassels; i rugbisti James Lang e Marlin Packer e il golfista Thorbjørn Olesen), spingendo i propri interessi anche lontano dall’Europa, prima firmando un contratto triennale con la squadra di cricket delle Indie Occidentali e poi, pochi giorni fa, con la squadra australiana di rugby dei Sydney Roosters.
La sensazione è che visti i presupposti attuali (una solida base di investitori, un piano di crescita molto strutturato, differente da quello di altri brand concorrenti, e la scelta di puntare forte sull’e-commerce), nel giro di qualche anno il peso specifico di Castore nello scenario mondiale possa aumentare ancora parecchio, spiccando il volo senza apparenti limiti.