È un pomeriggio di maggio quando, in una Milano che ribolle sotto un sole infernale, mi dirigo verso lo studio in cui DJ Shocca ci ha invitato per parlare del suo nuovo album, “Sacrosanto“, uscito il 26 maggio portando sul piatto una serie di artisti e collaborazioni che non sono certo quelli che siamo soliti sentire tutti i giorni.
Per la prima volto dopo ormai qualche anno che lavoro in questo settore mi ritrovo a parlare con una persona che ha vissuto e attraversato tante epoche e sfaccettature del rap, e non solo da insider. DJ Shocca le ha vissute da dentro e da fuori, prendendosi momenti per fare altro nella vita e poi tornare, orbitando sempre e comunque attorno a quel mondo che per lui è pura cultura. «Io mastico anche un po’ di grafica, di design, mi piace creare custom clothing e l’ho fatto. Bill my skills», afferma.
La carriera di DJ Shocca è iniziata nel 1994 e sono di fatto passati 20 anni da quando ha pubblicato “60 Hz“, disco che ha visto la presenza di Mistaman, Club Dogo, Nesli, Bassi Maestro, Tormento, Primo, Inoki, Danno e molti altri. Non è andato sempre tutto liscio. Quando nel 2016 tutti sono stati messi alla prova dall’arrivo improvviso della trap, Shocca ha bypassato il tutto, scegliendo la carta vincente del non snaturarsi. Ci hanno provato tutti, in quel periodo, a competere. Chi riuscendo, chi fallendo, chi diventando qualcosa che prima non pensavamo potesse esistere, alcuni l’hanno fatto per la voglia di mettersi in gioco, altri per la paura di rimanere indietro. E ci sta. È quello che ci insegnano tutti i giorni: provare, stare al passo perché è un attimo che gli altri ti superano se resti fermo.
C’è però un’altra componente fondamentale che viene menzionata un po’ troppo poco spesso: la capacità di ascoltarsi per non tradirsi, soprattutto quando sei un personaggio pubblico e a giudicare le tue mosse ci sono centinaia di persone. «Perché amareggiare la propria anima facendo una gara che non ha senso di essere fatta?». Shocca ha scelto quella che per questo settore è una carta inconcepibile: fermarsi. Aspettare, nel frattempo piuttosto facendo altro.
Ci ha visto lungo, 7 anni dopo possiamo dirlo. Nella fedele e pacata attesa, Shocca ha visto il suo genere di riferimento andare avanti, sorpassare, poi frenare, tornare indietro. Oggi le persone hanno preso coscienza di ciò che è la trap e, dopo l’euforia iniziale, adesso è tornato l’interesse per le sue origini.
«Quello che è cuore, mente, quindi anche la musica, è sottoposto a dei cicli. Negli ultimi 10 anni c’è stato un interesse che adesso sta tornando in modo mega prepotente. Leggendo questi piccoli segnali – che non sono mai come un interruttore on/off, ma sono dei dettagli che vanno letti nella loro moltitudine – ho capito che c’era un ritorno su tutto il discorso boom bap. Dopo aver ascoltato trap e drill, le persone si sono chieste che cosa ci fosse dietro, da dove venisse».
A posteriori la scelta di Shocca è stata la migliore, ma pensare di farla al tempo non è così scontato. Quanti avrebbero lasciato la propria passione da parte, facendo altro senza sapere che il futuro sarebbe stato così roseo?
«Il primo step da superare è fottersene» ha affermato Shocca che a un certo punto, dopo aver deciso di tornare con un disco davanti a un pubblico di giovanissimi, si è trovato nella situazione di dover affrontare l’aspettativa.
Dal 2004 al 2023 di cose ne sono cambiate nel rap, se i Coma Cose ci dicevano che in 7 anni cambi casa, affetti, amici, figuriamoci che cosa può succedere in 19. Avendo ascoltato, vissuto e fatto musica in due epoche così diverse, mi viene naturale chiedergli come ci si approccia di nuovo a tutto ciò. «Quando hai 20 anni vai dritto, diretto, senza pensarci, dopodiché l’esperienza o la maturità ti danno un approccio un po’ più ragionato. Tendenzialmente lo faccio come prima, ma sono un po’ più riflessivo quando penso e poi traduco in suoni la musica. E questo un po’ serve, perché tutto quello che viene dopo poi è più semplice da gestire, anche a livello produttivo».
Dopo aver chiesto a Shocca che cosa è successo all’interno della sua vita, gli chiedo che cosa invece è successo fuori. Cosa è cambiato nella musica, nel pubblico? Perché è proprio questo il momento giusto per tornare?
«L’ho già visto succedere. Sono cicli, un genere arriva, si prende tutto, si crea un nuovo linguaggio, c’è una sovraesposizione ed esplode. Molte volte se non ci sono fondamenta solide, quando arriva una cosa nuova che non ha le spalle abbastanza larghe per supportare sé stessa, questa cosa crolla oppure l’attenzione delle persone va altrove. Le peculiarità della drill o della trap, le caratteristiche fighe, sono in realtà anche i punti deboli. L’istintività, la facilità con cui ci si può esprimere, è una bomba atomica perché dà un ritratto istantaneo di ciò che vuoi esprimere, però è anche limitante da quel punto di vista. Croce e delizia», afferma Shocca.
Una cosa che resta certezza nella sua vita, oltre al rap, al boom bap, alla musica, è quello in cui lui ha incanalato tutto ciò, dandogli un nome, un volto, una struttura. È Unlimited Struggle, quell’etichetta che nel 2007 ha dato vita a uno di quei dischi che restano stampati nella storia ancora oggi. Uno di quelli obbligatori da nominare quando qualcuno ti chiede che cosa ascoltare per conoscere la genesi del rap italiano: “Struggle Music”.
«Premettendo che è una realtà nata in tutt’altre dinamiche, oggi ritorna prima di tutto con uno statement: esiste adesso, esisteva 20 anni fa, esisterà per altri 100 anni. Nel senso che cambiano gli scenari, le dinamiche, gli stimoli, ma le motivazioni sono sempre le stesse. Dopodiché negli anni si è trasformata in una label e continuerà ad esserlo». Motivazioni legate al suono e mai al soldo. «Esprimere un suono autentico, senza compromessi, il cui motivo è soltanto la sua stessa esistenza. Non c’è il grano, non ci sono secondi fini, ma semplicemente – non perché il denaro sia lo sterco del diavolo – perché ciò che mi stimola di certo non è il poter fare una vacanza in un resort. Non me ne frega un cazzo».
È una bella soddisfazione, quindi, tornare oggi dopo quasi 30 anni dal giorno di inizio presentandosi a un pubblico che considera il rap il genere principale in italia? «Sì lo è, sarei un ipocrita se ti dicessi di no. Lo è perché, con questa forza e con questo hype, sarebbe parsa una follia qualche anno fa. Quindi è una soddisfazione, è una grande soddisfazione».
Vedo DJ Shocca sereno oggi, di quella serenità che arriva nel momento in cui la vita ti ridà qualcosa indietro, e allora hai l’impressione di aver fatto le cose giuste, e che fare le cose giuste ripaga davvero. Solo adesso mi pento di non avergli chiesto come sono stati quegli anni in cui non ha prodotto, se ha sofferto non solo il poco successo iniziale del rap, ma anche la sua totale trasformazione in qualcosa di totalmente inaspettato e lontano da ciò che avevano portato loro.
Arrivati alla fine, con il suo disco “Sacrosanto” già ben posizionato in vinile tra i cimeli del suo studio, gli chiedo che cosa per lui è sacrosanto. «Sacrosanto è il suono, sicuramente il boom bap, e sacrosanto è ogni mio ospite che mi ha blessato con la sua visione. È soltanto questo».