VERDY ha cambiato la cultura pop

A volte ci sono degli artisti che prendono delle direzioni diverse da quelle di tutti gli altri, artisti che, a vederli all’inizio della loro carriera, mai ci saremmo aspettati di ritrovare in certi contesti a pochi anni di distanza. Non per incapacità, ovvio, ma perché la loro produzione si è evoluta tremendamente nel corso del tempo, arrivando a creare opere molto lontane rispetto a quello a cui ci avevano abituato. VERDY è uno di questi, un talento creativo che non poteva essere racchiuso in un recinto, in una singola pratica. A comprendere le potenzialità pressoché infinite delle sue opere e del suo estro sono stati in molti: l’ultimo in ordine cronologico è nientedimeno che Swatch. Il marchio svizzero di orologi ha deciso infatti di coinvolgere l’artista per una collaborazione che include sì una serie di prodotti decorati da VERDY stesso, ma anche una mastodontica statua alta quattro metri ed esposta nei Giardini della Biennale Arte di Venezia.

Per l’artista giapponese, partito dal graphic design e arrivato a fare tanto altro, questa installazione rappresenta sicuramente un punto importante nel suo “curriculum”, ma se VERDY è riuscito a raggiungere questo traguardo è perché ha creato numerosi linguaggi propri, unici per la scena contemporanea, attraverso progetti come il già citato Vick, ma anche Wasted Youth e Girls Don’t Cry. Insomma VERDY, forse inconsciamente, è arrivato a toccare molti aspetti della cultura pop, spaziando dalla moda alla musica, dall’illustrazione ai giochi collezionabili, dall’arte digitale alla scultura. Un elemento imprescindibile dell’estetica di oggi.

Anche se ora lo conosciamo per la sua ampia produzione nel mondo dell’arte figurativa, si tratta solo di un periodo recente della sua carriera, cominciato nel 2018. Prima di questo momento, VERDY era, come tanti creativi che non provenivano dal mondo delle Belle Arti, limitato a un panorama artistico che lo accettava solo parzialmente, o quantomeno gli permetteva di passare solo da determinate porte. “Mi è sempre piaciuto disegnare, fin da bambino”, ci dice VERDY, “ma nonostante il grande interesse per l’arte non ho mai avuto l’occasione di studiare la storia e i classici”. La sua formazione, infatti, non avviene grazie ai libri o ai musei, ma dalle proprie esperienze di vita: “ciò che mi appassionava era la musica e quando ho visto che i cantanti che seguivo indossavano t-shirt di Keith Haring e Andy Warhol ho capito che il mio gusto artistico stava prendendo una certa direzione”, ci spiega.

Proprio nel mondo della musica VERDY ha trovato il primo terreno fertile per la sua arte: “nonostante io sia cresciuto in una normale casa giapponese di lavoratori impiegati, iniziai a guardare il calcio e ascoltare rock e punk e così mi sono appassionato a quelle estetiche, quei loghi, quei design”. E in un attimo, quello che era iniziato come un semplice interesse diventò a tutti gli effetti la via per entrare a far parte di quel mondo: “qualcuno iniziò a chiedermi di disegnare merchandising o copertine di CD, e così ho iniziato a fare realmente il designer” racconta.

Da quel momento, nonostante periodi più frenetici e altri più di difficoltà, la sua carriera non si è mai fermata, evolvendosi e infiltrandosi praticamente in qualsiasi settore esistente, diventando il simbolo di una nuova generazione di creativi che non possono e non vogliono essere definiti solo come pittori, scultori o grafici. Sembra incredibile quindi che VERDY abbia dovuto aspettare la fine della pandemia, nel 2021, per avere una prima esposizione museale. Purtroppo però questo è un destino che molti creativi provenienti dalla scena street e urban hanno dovuto scontare: si pensi a quanta fatica figure come Virgil Abloh o Nigo (per rimanere nel Giappone di VERDY) hanno dovuto fare per trovare spazio. Ma il giudizio degli altri, per VERDY, non è mai stato un ostacolo: “personalmente ho sempre visto le belle arti e il graphic design molto vicini, quasi equiparabili, sono stati gli altri a dirmi che storicamente non è mai stato così e che avrei dovuto decidere quale strada prendere”, ci dice.

Ed è proprio per colpa di questi “stereotipi” che, per trovare riconoscibilità, lui e i suoi predecessori non sono passati per persone o esposizioni collettive, non si sono legati a curatori o gallerie, ma si sono ritrovati a dover lanciare progetti propri e multidisciplinari. Insomma, una strada più lunga, più tortuosa, ma probabilmente una strada che ha permesso loro di esprimersi davvero, toccando più settori che li appassionassero. “Nigo e Takashi Murakami sono stati fondamentali in questo processo” ci conferma VERDY, “oltre ad avermi aiutato (più o meno direttamente) a entrare nel mondo dell’arte”. Grazie alle porte spalancate anni prima da queste figure, VERDY è riuscito quindi a oltrepassare l’ambiente street, entrando a tutti gli effetti nel mondo dell’arte, quello più istituzionale e spesso conservativo.

VERDY posa insieme all’installazione realizzata con Swatch

Anche una volta “arrivato”, VERDY è sempre rimasto diverso perché non ha mai alterato il proprio gusto per favorire qualcuno. Anzi, tutto il contrario: fin dagli inizi, la carriera dell’artista si è basata sulle collaborazioni, e per questo ha sempre continuato a lavorare con tantissime realtà, andando contro i sacri dogmi dell’arte figurativa classica che non vede di buon occhio le partnership con i grandi marchi. Grazie quindi a questa sorta di istinto di “conservazione”, unito a un punto di vista che ha sempre messo davanti l’accessibilità e la fruibilità delle proprie opere al grande pubblico, VERDY è arrivato lontano, in luoghi e contesti dove tanti altri artisti possono solo sognare.

Uno di questi è proprio la già citata Biennale di Venezia, dove VERDY è riuscito ad approdare proprio grazie a una collaborazione, penetrando in un caposaldo dell’arte che rappresenta più di ogni altro uno status simbolo da raggiungere per ogni creativo, una sorta di convalida da parte del settore che certifica una cosa su tutte: l’avercela fatta. Grazie al marchio di orologeria Swatch, infatti, negli spazi dei Giardini della Biennale VERDY ha deciso di esporre una statua alta quattro metri che raffigura la sua prima creazione, quella più iconica: Vick. Una creatura, metà panda e metà coniglio, che incarna a tutti gli effetti una rappresentazione sia della poetica artistica sia della figura personale di VERDY: un personaggio riservato, libero ma con una spiccata passione per la musica punk – motivo per cui sfoggia orgoglioso un simbolo anarchico sulla pancia – e legata all’alternanza tra bianco e nero, luci e ombre.

“Fin da ragazzo ero solito indossare gli orologi del brand, per questo quando mi hanno chiamato non me lo sarei mai aspettato” ci confessa. Per poi aggiungere: “questo trend recente che unifica e mette in dialogo Street Art e Pop Art con l’arte classica è una naturale conseguenza di ciò che per molti è sempre stato ovvio, e anche se la Biennale è una realtà “tradizionale” mi ha dato un grande spazio e per me è un onore”.

Il legame con Swatch non è casuale. Il brand svizzero ha da sempre grande interesse per l’arte e ha sviluppato importanti partnership con artisti, fondazioni e musei, promuovendo in primis pop culture e design. Fa parte della positive provocation del marchio, che da sempre punta all’accessibilità delle proprie creazioni, permettendo quindi agli appassionati di poter indossare opere normalmente irraggiungibili sia per costo che per disponibilità. Questo stesso ragionamento si sposa con la poetica di VERDY, il quale è sempre stato attento ad avere un rapporto diretto con appassionati e collezionisti. La mentalità moderna e dinamica con cui viene portata avanti questa collaborazione si nota soprattutto nell’orologio creato specificatamente per questa partnership, un pezzo ricco di riferimenti alla storia dell’artista. Il modello GENT creato per l’occasione è caratterizzato infatti dal color bronzo, lo stesso della statua di Vick all’Arsenal che però, sull’orologio, trova anche la particolarità della lingua in grado di cambiare colore ogni giorno. Un elemento giocoso, un dettaglio divertente che dona più ricercatezza a un prodotto, a metà tra collezionismo e leggerezza. Tipico di VERDY, tipico di Swatch.

Anche se oggi si celebra l’apice della carriera di VERDY come artista, è impossibile non attribuire la stessa importanza al suo percorso nel mondo della moda. Perché nonostante oggi il Giappone e la sua cultura siano riferimenti fondamentali nell’arte di VERDY, a un certo punto della sua vita Osaka e il suo ambiente creativo diventarono troppo stretti: il mondo dell’industria musicale, il merchandising da concerto e le grafiche per flyer e copertine non erano più abbastanza. “A un certo punto ho capito che stavo lavorando per soddisfare richieste altrui, non stavo esprimendo davvero il mio lato artistico” ci dice, e per questo tra Tokyo e Los Angeles – le due città in cui ancora oggi passa la maggior parte del suo tempo – VERDY decise di avventurarsi nel settore dell’abbigliamento.

“La moda è arrivata circa 10 anni fa quando ho iniziato a conoscere personalmente persone come Nigo o in generale l’area di Ura-Harajuku, un contenitore perfetto delle mie passioni. È dalla musica che ho iniziato a creare i miei design, ma è da qui che mi sono spostato in altri contesti”, ci dice VERDY ripercorrendo la nascita di Wasted Youth e Girls Don’t Cry. Questi due marchi non sono solamente tra i più popolari degli ultimi anni, tanto che è praticamente impossibile non aver mai visto uno dei due loghi in giro per le strade o addosso agli artisti più conosciuti, ma rappresentano a pieno anche cosa significhi essere dei creativi nel mondo di oggi: andare oltre i confini di un singolo settore e applicare la propria visione a qualcosa in grado di unire tutto, creando un senso di appartenenza che lega arte, moda e prodotto.

VERDY e l’orologio in collaborazione con Swatch

Con questi diversi progetti, queste diverse creazioni, VERDY ha pian piano cementato la sua influenza sulla scena contemporanea che, a oggi, vive di commistioni tra moda e musica, di esemplari in stile cartoon, di giochi collezionabili che miscelano l’animo infantile a quello museale. Insomma, VERDY è diventato l’artista preferito di tanti artisti. A testimoniarlo è banalmente il suo profilo Instagram: JAY-Z, Bruno Mars, Kid Cudi, Pusha T, Pharrell Williams, Tim Cook, Angelo Baque, A$AP Rocky, Post Malone e Achraf Hakimi sono solo alcune delle personalità che hanno pubblicamente palesato il proprio amore per VERDY, finendo per chiedergli una foto come il giovane appassionato fa con il proprio idolo. Sì, anche Achraf Hakimi, il calciatore, perché l’arte di VERDY e lo spirito ribelle di Vick sono arrivati a impreziosire anche la maglia del Paris Saint-Germain nella stagione 2022/23, finendo anche sulle spalle di Lionel Messi

L’approccio di VERDY non sarà il più rivoluzionario di sempre, ma è il suo successo a parlare per lui. A volte, infatti, non serve creare scompiglio e fare rumore per essere rilevanti, e VERDY ne è consapevole: “la moda street ha la sua cultura, la sua storia, i suoi capostipiti e le sue collaborazioni iconiche: per questo motivo, quando mi sono avvicinato alla moda, ho voluto seguire quei dettami. Non solo mi piacevano, ma avevo grande rispetto per loro e anche per chi li aveva creati”. E poi continua: “quello che cerco di fare ora è sì usare un linguaggio che sia davvero mio, ma anche rispettare chi è venuto prima di me, specie la scena street di Tokyo del passato, perché è stata per me fondamentale. Vorrei aiutare a tramandare questa storia anche alle generazioni future”.

L’obiettivo di VERDY non è mai stato quindi quello di cambiare le regole del gioco, ma solamente di impararle e rispettarle. E mentre un tempo per un artista era necessario passare a miglior vita prima di ottenere l’attenzione che si meritava, oggi si nasce con gli occhi addosso. Ma popolarità e rispetto non sono automatici, tutto il contrario: a vincere sembra essere sempre chi grida più forte o fa parlare di sé per scandali e attività fuori dal comune. La competizione ha reso il raggiungimento dello status di icona ancora più complesso, ma VERDY, senza urlare, un’icona lo è diventato.