Nella prima puntata di questa mini-serie dedicata agli sponsor sulle maglie da calcio e al loro impatto nell’estetica e nell’evoluzione dei kit da gara si è parlato del fenomeno più recente, quello relativo alle criptovalute e, nello specifico, all’avvento di nuovi strumenti digitali sul panorama italiano ed europeo. Ma come abbiamo sottolineato più volte, c’è una certa ciclicità temporale che riguarda la diffusione di una determinata categoria di sponsor rispetto a un preciso periodo storico: quello immediatamente precedente a quello attuale, infatti, è stato indubbiamente contraddistinto dalla proliferazione delle cosiddette betting companies, che hanno invaso il mondo del calcio in maniera lampante e, ad un certo punto, quasi sfrenata.

Non è possibile stabilire con precisione quando siano iniziati i primi contatti tra bookmakers internazionali e squadre di calcio, ma è certo che tra i legami più significativi c’è quello di betandwin con il Milan, che risale addirittura al 2006, quando l’azienda austriaca iniziò ad apporre il marchio BWIN sulle maglie rossonere, in contemporanea a quelle del Werder Brema e pochi mesi prima del Real Madrid. L’escalation di betandwin sulla scena calcistica può essere utilizzata come cartina di tornasole per altri casi del genere, tutti molto simili come svolgimento. Dopo aver chiuso accordi con dei club blasonati, infatti, la famosa agenzia di scommesse non solo ha firmato numerosi contratti di esclusiva con altre famose società europee e addirittura con la UEFA in qualità di official betting partner, ma soprattutto è riuscita a ottenere i naming rights di intere competizioni come la Coppa di Lega portoghese e la Serie B italiana (che non a caso, alla fine del triennio di sponsorizzazione bwin ha cambiato nome in Serie B Eurobet).

L’elenco delle società di scommesse sportive coinvolte, nel tempo specializzatesi anche in poker virtuale e casinò online e capaci di trasmettere interi pacchetti di eventi in streaming sulle loro piattaforme, è davvero infinito. In poco tempo le betting companies hanno conquistato tutti i campionati più importanti d’Europa: LaLiga, dove tra i pionieri ci sono stati quelli del Siviglia legati prima a 888.com, poi a 12bet.com e infine a Marathonbet; la Serie A, dove dopo il Milan sono arrivate Genoa e Palermo insieme ad Eurobet e Juventus, che nel 2010 è finita per accettare l’offerta dei francesi di BetClic, già sponsor di Olympique Lione e Marsiglia; e ovviamente la Premier League, come sempre il campionato più precoce anche per le tendenze di questo tipo. Il marchio 888.com era spuntato già nel 2004 come jersey sponsor del Middlesbrough, quando ancora era solo una compagnia specializzata nel gioco d’azzardo e non aveva neanche aperto la sua sezione sportiva, ma il primo in assoluto fu Betfair, sulle maglie del Fulham due stagioni prima.

I riflettori del massimo campionato anglosassone hanno attirato tantissimi gruppi stranieri in cerca di visibilità e pronti a immettere liquidità per apparire sulle maglie (oltre agli israeliani di 888 Holdings anche i danesi di Bet 24, gli irlandesi di BoyleSport, SportsBet.io proveniente da Curaçao, i kenioti di SportPesa, i sudafricani di Hollywoodbets e gli asiatici di SBOBET, 188Bet, fun88, Genting Casinos, Dafabet, TLC Bet, 138.com, BetEast, K8.com, M88, ManBetX, LaBa360, OPE Sports, W88 e LoveBet), e nei cartelloni pubblicitari, finendo anche per fornire il proprio nome ad uno stadio, come successo a Stoke con bet365. Il picco è arrivato nel corso del decennio 2010-2020, quando le agenzie di scommesse, nonostante numerose perplessità legate al loro status legale e all’affidabilità in termini fiscali e tributari, sono arrivate a rappresentare il 50% degli sponsor delle squadre di Premier League nella stagione 2016/2017 e in quella 2019/2020, un dato spaventoso se si considera anche la presenza nella seconda serie inglese, dove è anche successo che uno sponsor sia apparso su più maglie contemporaneamente. È questo il caso di 32Red, partner di Leeds United, Aston Villa, Derby County, Preston North End e Middlesbrough nel corso di uno stesso campionato.

Pur essendo spesso divenute indispensabili per l’economia dei club, soprattutto quelli medio-piccoli e a maggior ragione con l’inaspettata crisi pandemica, le betting e gambling companies nel mondo sportivo sono state spesso osteggiate e la loro presenza così invadente criticata dai tifosi (quelli del Norwich e del Rayo Vallecano ad esempio), addetti ai lavori e normali cittadini per mancanza di etica e incompatibilità con i valori dello sport, ritenute diseducative e nocive per le nuove generazioni. Questa insofferenza ha già portato, in Italia, a un divieto assoluto di pubblicità di giochi e scommesse, comprese le sponsorizzazioni e le forme di pubblicità indiretta, introdotto con il cosiddetto Decreto Dignità del 2018, un primo e non ancora definitivo provvedimento per contrastare le problematiche sociali causate dall’industria delle scommesse online. Anche in Spagna il Governo non ha sentito ragioni e ha vietato a tutti i club nazionali, a partire dal settembre 2021, ogni tipo di sponsorizzazione legata a bookmakers, costringendo ben 7 squadre di Primera División a trovarsi in breve tempo un jersey partner alternativo.

In Inghilterra, dove perfino l’English Football League è affiancata da Sky Bet, il tema è quanto mai caldo e l’obiettivo di rimuovere ogni contatto tra il mondo delle scommesse e quello calcistico sembra essere sempre più vicino. Tra l’altro c’è chi non ha voluto aspettare un provvedimento dall’alto: lo Swansea, infatti, già a partire dall’agosto 2020 ha scelto autonomamente di troncare il contratto Yobet, sostituendolo con il logo dell’Università locale. Nei prossimi mesi è in programma l’entrata in vigore di una corposa review del Gambling Act del 2005, che dovrebbe sancire il definitivo ban in programma nel 2023 per permettere così ai club interessati, per via di contratti di sponsorizzazione (Brentford, Burnley, Crystal Palace, Leeds United, Newcastle, Southampton, Watford, West Ham e Wolverhampton) e di semplici partnership, di poter trovare una soluzione senza perdere introiti in maniera brusca. Si calcola infatti che tra Premier League e Championship verrebbe a mancare un apporto annuo di circa 110 milioni di sterline. La soluzione al momento sembra essere dietro l’angolo e pare proprio quella di attrarre le neonate società digitali specializzate in bitcoin, tecnologia blockchain e cryptocurrency, le più floride e disponibili a mettersi in mostra anche se ancora parzialmente sconosciute e non regolarizzate.