Quando siamo andati a Napoli a conoscere J Lord sapevamo di voler realizzare qualcosa di autentico. Volevamo vedere le zone in cui era cresciuto, conoscere le persone con cui si relazionava, incontrare chi è solito incontrare e vivere le dinamiche che vive. J Lord ha 17 anni ma mentalmente è come se ne avesse 40 perché crescere dove è cresciuto lui non può che darti una struttura diversa rispetto ai normali coetanei.
Arrivati ad Afragola abbiamo visto un immaginario incredibile, un misto di colori e situazioni quotidiane che difficilmente ci si aspetta di vedere all’interno di piazze e palazzi. Quando J Lord ci raggiunge è già pronto, con un lucido durag nero, un paio di jeans, delle bianchissime Air Force 1 e una collana in oro al cui interno si trova la foto di suo padre. La tipologia di collana con la foto è tipica di Philadelphia, portata alla notorietà da Meek Mill. «Sono affascinato da Philadelphia ma in generale da tutto l’immaginario delle periferie americane perché è come questi posti qui in cui siamo ora, vorrei viverle per prendere ispirazione dalla strada. Si pensi anche a Chicago. Proprio l’altro giorno parlavo con Massimo Pericolo ed entrambi siamo in fissa con Lil Durk».
Dopo uno spunto del genere è un attimo parlare del rapporto tra strade e scena musicale. Se si frequenta la metropoli dell’Illinois infatti è facile trovare aree in cui si può sentire solo Kanye West e Chance The Rapper, mentre in altre suona solo la drill e nomi più iconici come Chief Keef. «Questo ti fa capire che i numeri sono importanti solo fino a un certo punto. A volte essere famosi solo nelle proprie strade è qualcosa che ti supporta e ti aiuta ogni giorno. Sono cresciuto qui vicino a dove stiamo scattando e mi conoscono tutti perché ho girato un po’ ovunque ad Afragola. La gente è molto calorosa, mi supporta sempre ma mi sembra che un tempo avevo più amici. Ovunque andavo mi salutavano, perché ero sempre quello allegro e disponibile con tutti. La gente ora è più sulle sue, non so se per via del percorso che sto facendo nella musica, o solo perché stiamo crescendo. Capisco che fa parte dell’evoluzione e della crescita delle persone. La gente è ancora calda e contenta per quello che faccio».
Non ci vuole molto per capire quanto J Lord sia particolare. Benché sia lui l’intervistato, continua a fare domande, cerca di cogliere esperienze, informazioni e ispirazioni da tutte le nuove persone che incontra, in un mix di curiosità spontanea e desiderio di imparare ma senza mai perdere il proprio modo di fare che gli permette di relazionarsi con tutti, dai manager discografici ai ragazzi del quartiere. Quando abbiamo parlato degli Stati Uniti ha scoperto della mia personale esperienza in giro per gli USA e si è rivelato tremendamente interessato di sapere ciò che avevo visto perché, come dice lui, un conto è quando vedi le cose nei film ma viverle è un’altra cosa. L’esperienza tangibile è qualcosa di molto caro a Lord e ci tiene a parlare dei propri trascorsi tra Napoli, Ancona e Inghilterra, posti in cui ha vissuto con vari parenti.
A questo proposito parliamo anche del Ghana e delle sue origini. «Non ho mai avuto l’onore di andare in Ghana, non sono ancora pronto. Sai perché? I nostri genitori sono bravi a mentire. Qualche volta sono andato a Leeds da mio padre e ho incontrato persone che dicevano che sarebbero rimaste in Inghilterra una settimana e alla fine si sono trasferiti in pianta stabile. Mia mamma diceva che se fossi andato in Ghana sarei rimasto là sempre, quindi mi sono detto di aspettare e di crescere un po’ prima di andare là».
Dopo il caffè al bar iniziamo a scattare in un palazzo di ringhiera di Afragola in cui stanze abbandonate si alternano ad appartamenti occupati in cui la vita di ogni giorno si protrae normalmente al fianco di altre dinamiche. Tra uno scatto e l’altro, J Lord ci tiene a coinvolgere i suoi amici, diventati ormai parte integrante dello shooting. Li introduce a dinamiche diverse, mostra loro le immagini e ci si intrattiene con conversazioni leggere come ad esempio sul calcio. «Io sono milanista ma non sfegatato, non seguo molto. Mi piace il calcio, ci giocavo. Mio padre è tifosissimo del Napoli, tanto che se c’è Milan-Napoli sono combattuto su chi tifare. Considera che in questa stanza trovi anche un romanista. Siamo dei napoletani un po’ anomali. Sai che sport mi piaceva molto? Il tennis. Ho giocato un po’, però poi mi sono concentrato su altro».
Come un ragazzo può iniziare a tifare per una determinata squadra dipende da tanti fattori come l’influenza territoriale, la passione per un determinato giocatore o per ciò che ti tramanda un genitore. Talvolta è solo un colpo di fulmine, nello sport come nella musica. «Mi ricordo una scena di quando ero piccolo. Ero a casa di mia madre e c’era un telefono. Premo quasi a caso i tasti sulla tastiera, dato che non aveva ancora il display, e mi esce un pezzo di 50 Cent. Ti giuro, è stato un caso. Nessuno mi aveva spiegato come funzionasse quel mondo, mi sono avventurato io, e ciò che ho visto mi ha folgorato».
Da questo momento quasi catartico è partita la parabola di J Lord, un ragazzo che da subito ha preso questo gioco del rap in maniera seria e diversa da come si approccerebbero altri. «La prima volta sono andato in uno studio da queste parti anche se era un po’ lontano, ma avevo talmente voglia di vivere quell’ambiente che sono andato a piedi giusto per vedere il mio amico che registrava. Volevo solo provare l’atmosfera, respirare quell’aria. Quel mio amico di scuola stava andando a conoscere un produttore e io mi sono detto di dover esserci a tutti i costi. Quindi una volta in studio mi sono fatto avanti. Ho provato a scrivere qualcosa perché mi piaceva, non ho pensato a nulla perché mi sono messo in gioco. Non ero preoccupato, ero concentrato. Il mio obiettivo non era solo cominciare, ma farlo bene. Non ho paura del giudizio degli altri, ma volevo già farlo in maniera diversa, volevo che gli altri pensassero “questo non lo fa come tutti”».
Il tempo passa, gli scatti aumentano e Lord ha preso totale confidenza con noi e continua a raccontarci il suo percorso artistico, una storia che sembra cinematografica e che è appena cominciata. «Ora sto lavorando tanto per chiudere un EP, sempre assieme a Dat Boi Dee. Lui l’ho conosciuto quando avevo solo due pezzi fuori. Uno può pensare che mi sentissi già arrivato perché mi sono presentato subito a un produttore affermato ma è nato tutto per caso. L’ho conosciuto tramite un amico. All’epoca era uscita “Figli del Passato”, la canzone che per prima mi ha fatto conoscere a da cui hanno iniziato a scrivermi anche alcuni rapper della scena italiana. Il mio amico ha organizzato questo incontro nel suo studio di tatuaggi con Dee e Ferdy, attualmente il mio manager. Ero carichissimo ma anche molto teso perché non avevo mai incontrato una persona del mondo professionale. Io sono il tipo che appena vede la situazione, si adatta, così da poter essere sé stessa. Da lì siamo entrati subito in connessione. Davide, o Dat Boi Dee, mi ha raccontato il suo percorso, la sua musica, ma anche la storia della musica. Mi ha fatto appassionare. Era come se lui stesse cercando qualcuno che ascoltasse cose diverse dagli altri, qualcuno di più libero dai soliti canoni. Non solo mi faceva ascoltare la musica, mi faceva studiare, mi faceva capire perché alcuni pezzi suonavano in un certo modo. Ora ogni tanto gli mando pezzi vecchi che spaccano e lui mi dice “Vedi?”. Siamo alla scoperta. Però non cerco mai di rifare qualcosa di già esistente, anche se quella cosa l’ho appena scoperta, perché so già che non potrà mai venire bene come l’originale. “Juicy” l’ha fatta solo Notorious B.I.G. e nessun altro può farlo. Ci sta prendere un po’ l’ispirazione, magari raccogliere tutta la voglia che lui ha messo, e solo poi realizzare qualcosa di tuo, perché solo qualcosa di personale può restare nel tempo. Se una cosa suona come quella di un altro, è brutto, non lasci mai un bel ricordo».
Le persone si informano e leggono i libri perché così si hanno più elementi, più interpretazioni, per affrontare le situazioni quotidiane. È come avere più pezzi di un puzzle. Leggere e studiare ci forniscono incastri per capirli, ma Lord sembra avere già tutti i pezzi a disposizione. J Lord è una figura chiaramente appassionata che vive la musica in maniera diversa dagli altri. Sente le melodie, esprime musica in maniera naturale, infatti quando cita un pezzo di cui sta parlando non nomina mai titolo e artista, lo canta, lo rappa. Strofe o ritornello, Lord modula la voce e interpreta i pezzi in maniera personale ma estremamente riconoscibile.
Quando Lord ferma il discorso parlato per iniziare a rappare o cantare ti lascia spiazzato. La sua voce cambia, la sua espressione facciale è diversa e la concentrazione sembra salire. Si vede che a J Lord piace cantare, giocare con la voce, e ciò deriva chiaramente dalle sue influenze. «Mia madre ascolta un sacco di musica afro, tipo Fela Kuti, o pezzi strumentali. Mi piace tanto la musica gospel, soprattutto le donne che cantano e vivono quella realtà. Parlando di rap, invece, ascolto tantissimo 50 Cent. Mi fa impazzire perché ha una voce sempre piena ma molto rilassata. JAY-Z per me è un fenomeno, anche J. Cole. In generale mi piace gente che racconta storie, narra la realtà ma sa sperimentare con la voce e creare melodie, non a caso adoro l’R&B, specie il filone alla Mary J. Blige. Infatti si può vedere da pezzi come “Tanti Auguri a Me”, ho voglia di provare melodie diverse, mi viene naturale, non è mai forzato. Spesso c’è questa considerazione che le melodie siano leggere, senza troppi messaggi, ma io vorrei far capire che si possono toccare anche tematiche serie pur utilizzando certe linee vocali. Considera che quel pezzo non ha solo un ritornello cantato, ma anche in italiano. Io scrivo in napoletano perché per me è istintivo, è come se una voce mi parlasse da dentro. Anche in italiano mi trovo bene, infatti “Tanti Auguri a Me” è stata anche una prova, un modo per sorprendere».
Parlando delle tante influenze di J Lord è impossibile non focalizzarsi sul grande tatuaggio di Notorious B.I.G. presente sul suo braccio destro, uno dei diversi tatuaggi che possiede nonostante la giovanissima età, altro elemento che talvolta fa dimenticare quanto giovane sia. «Amo sia Biggie che Pac ma in maniera diversa. Amo quando Pac parla dei problemi sociali perché arrivano da uno come lui che li ha vissuti, con una madre attivista. Ti comunica qualcosa di diverso. Loro due li ho sempre visti contrapposti perché è come se Tupac raccontasse il male, mentre Biggie tutto il bene e la felicità dei ghetti. In realtà Pac faceva anche pezzi da party, mentre Notorious ti parlava di complessi mentali e suicidio, ma personalmente ho sempre vissuto il loro dualismo in quel modo».
«Uno che mi fa sempre impazzire è Kendrick Lamar perché ti porta in un viaggio unico che nessun altro sa dare. L’album che adoro di più è proprio Good Kid, M.A.A.D City, fin dall’immagine di copertina». Sentire questa frase rasserena perché pensando a J Lord e a questo shooting lo avevamo proprio associato al rapper di Compton. Le reference fotografiche, nello styling e nel modo di approcciare questo tempo passato a Napoli ed Afragola con lui, sono proprio incentrate sull’immaginario di Kendrick Lamar, dai primi fotogrammi di “Swimming Pools (Drank)” a “Alright”, come facilmente comprensibile dalle foto.
Proprio perché le foto proseguono, decidiamo di spostarci in un altro quartiere decisamente unico: il Bronx di San Giovanni, una zona molto cara a Gaetano, il fotografo. In quest’altra area si possono percepire tanti elementi della frenesia unica di Napoli visibile dalla contrapposizione tra la nomea del posto, non a caso chiamato Bronx, e la presenza di bambini che giocano a calcio in piazzetta, o signori anziani che tornano lentamente a casa con il proprio giornale e una borsa della spesa. «È bello vedere le zone turistiche e ricche quando si viaggia ma non puoi non vedere le periferie, le strade, la gente. Ti rimangono dentro. Mi piace questa situazione perché è reale. Siete venuti qui».
Lungo la strada continuiamo a parlare di musica e di come un ragazzo di 17 anni vive il rap e la passione per questo genere. «Tra i miei punti di riferimento italiani ci sono sicuramente Marracash e Guè. Nel periodo in cui ero ad Ancona ascoltavo “In Radio” tutti i giorni. Sai quella che fa “Ti dicono non sei nessuno, se poi non passi in radio…”, mi dava carica quando andavo a scuola».
Proprio Marracash in una Digital Cover su Outpump ha raccontato di come l’immaginario del rapper macho avesse ormai stancato, perché anche JAY-Z vive le sue paranoie e le ansie prima di andare a dormire, nonostante soldi e successo. Allo stesso modo J Lord parla della sua voglia di toccare un’infinità di elementi e temi davvero notevoli, il tutto con tanta consapevolezza quanta delicatezza. «In un album o in un EP lasci davvero te stesso e io voglio arrivare a tutti. Ti faccio un parallelo. A volte penso che tutti seguono il calcio o in generale uno sport, ma pochi seguono lo stesso sport giocato magari da un disabile. Io voglio capire in primis perché e poi parlare anche di queste storie. Voglio parlare dei senzatetto, di chi ha problemi di alcol. Recentemente ho vissuto una situazione in cui ho conosciuto una ragazza a cui era morta la madre da poco, suo padre era detenuto e lei faceva uso di cocaina. Io voglio raccontare certe realtà perché esistono ma non hanno una voce. Qualcun altro potrebbe immedesimarsi o addirittura trovare in queste parole un appiglio per uscire da certe situazioni».
Massimo Pericolo in “DEBITI” ha detto “A che serve la droga la prima volta?” e J Lord sembra appigliarsi alle parole del suo amico e compagno di featuring per parlare di un argomento molto delicato ma sicuramente noto in una zona come quella in cui è cresciuto. «La gente giudica spesso chi spaccia, consuma droghe o si prostituisce ma non sa perché lo sta facendo. Quanti di questi presunti giudici sanno se chi lo fa lo sta facendo solo per supportare i propri figli, oppure ha debiti o è tossicodipendente? A me infastidisce il giudizio perché spesso non c’è una motivazione dietro di esso. C’è sempre un disagio che ti porta a sbagliare. Alcune volte vorrei entrare nei corpi di queste persone e vedere cosa provano, le loro emozioni, le loro sensazioni, sia di chi le vive, sia di chi giudica. Però è difficile». Lo spirito del mondo a cavallo, citando Hegel, ma applicato al rap.
Muovendoci a San Giovanni, tra un coloratissimo e nascosto garage, un tetto dalla vista indescrivibile e alcuni palazzi popolari, insieme a Lord parliamo ormai di qualsiasi cosa al di fuori della musica, perché in quel campo abbiamo già detto il necessario. Questo momento si rivela particolarmente interessante dato che J Lord dimostra di unire la sua mente estremamente adulta alla curiosità tipica di un bambino. È proprio passando in macchina sotto i graffiti di Jorit che J Lord dice «Davvero stupendi, vero? Ora ho voglia di provare a fare un graffito. D’altronde mi è sempre piaciuto disegnare, infatti a volte lo faccio. Amo Van Gogh, ma non ho uno stile vero e proprio, provo a fare un po’ tutto. Vedi quella persona? La disegnerei». Difficile capire come, ma nel caos della periferia di San Giovanni l’occhio artistico di J Lord è riuscito a trovare un ragazzo seduto su una panchina a bordo di una rotonda con un giornale e una pipa. Un angolo vintage in un panorama urbano contemporaneo. Una mosca bianca. «L’altro giorno ho provato a disegnare Padre Pio. È venuto abbastanza bene».
«Ora sto provando anche a suonare il pianoforte. Credo sia utile perché mi appassionano davvero tantissime cose e per me ogni influenza diventa un suono. Sai cosa mi piace un sacco? Sfilare. È proprio bello. Mi piace moltissimo la moda. Mi piace mettermi la canotta e il jeans per uno stile più street, altre volte indosso vestiti più strani in stile Billie Eilish, altre volte ancora mi piacerebbe indossare un completo formale o un doppio petto. Magari ci aggiungo il durag, come Skepta ha fatto di recente. In realtà ho già sfilato, ma da bambino. Mi piacerebbe farlo in maniera più professionale». Prima il rapper era costretto a fare il rapper, rinchiuso in un recinto all’interno del quale spesso diventava vittima del proprio personaggio, ma ora vediamo situazioni molto diverse. Troviamo un Tyler, The Creator che è partito dal fare rap crudo e si è evoluto in un prodotto musicale molto più complesso e articolato, oltre al ruolo di designer. C’è la ASAP Mob che ormai ricopre un ruolo fondamentale nel mondo fashion, ma anche personalità come quelle di JAY-Z, al giorno d’oggi più imprenditore che rapper. «Capisci? Uno come JAY-Z scrive quello che scrive, ma poi ha la testa per gestire la costruzione e la vendita di TIDAL e Armand de Brignac per centinaia di milioni di dollari, soldi che gli permettono di fare quello che vuole».
Financial freedom my only hope, Fuck livin’ rich and dyin’ broke. I bought some artwork for one million. Two years later, that shit worth two million. Few years later, that shit worth eight million. I can’t wait to give this shit to my children.
JAY-Z – The Story of O.J.
«Vedi? Lui ti racconta la ricchezza in maniera diversa. È un obiettivo che deve coprire più generazioni. Qui ti dicono “voglio comprare quella macchina o quel gioiello”, JAY-Z invece ti parla in maniera piuttosto approfondita di un passaggio di proprietà, o dell’acquisto di un terreno».
Ormai inizia a essere tardi e abbiamo concluso gli scatti. J Lord insiste per farne altri extra togliendosi la maglietta. Non è stanco, nonostante le tante ore in giro, e ha davvero voglia di sfruttare al massimo tutti i posti in cui sta camminando insieme a noi e Gaetano. Decide addirittura di accompagnarci in stazione, tragitto che sfrutta dal primo all’ultimo secondo per ascoltare varie canzoni che in quel periodo lo prendono particolarmente. Dopo aver canticchiato un po’ “Anything Can Happen” di SAINt JHN e Meek Mill, facciamo il punto sulla giornata e ne approfittiamo per capire il suo rapporto con le interviste, i media e gli shooting fotografici.
«Mi piace essere coinvolto in queste iniziative perché significa che sto percorrendo la strada giusta. A volte mi capita di ripetermi quando vengo intervistato, ma è un modo per capire su quali elementi devo migliorarmi. Spesso mi faccio dei complessi su come devo comportarmi, come se già fossi un adulto. Perché lo so che ci saranno sempre nuove sfide, lo so che forse un giorno non ci sarà più la dinamica per stare con i ragazzi del quartiere e dovrò avere a che fare con altra gente, quindi mi dico sempre di comportarmi in un determinato modo, ma rimanendo sempre me stesso».
Il neuroscienziato Karl J. Friston ha parlato del principio dell’energia libera. In poche parole, tutte le entità viventi cercano di fare la stessa cosa, ovvero minimizzare la sorpresa. In base a ciò che l’occhio vede, ne deriva un’azione che di conseguenza può essere di due tipi: basata su ciò che si pensa o su un cambio totale della propria idea. Le persone come J Lord non hanno bisogno di farlo perché vedono il mondo per come è, in maniera naturale, senza filtri e senza aggiornare il processo mentale. Per questo ciò che crea è così potente.