Christy Turlington, Dior durante il suo Barocco, Londra capitale della moda e Vogue come istituzione sono alcune delle costanti che hanno caratterizzato il prospero periodo del divismo delle modelle e dell’idealizzazione del mondo della moda, magnifico quanto periglioso.
Per quanto siano nate delle stelle da quegli indumenti, l’ascesa delle modelle e dei modelli è stato un processo estremamente lento, graduale a causa di retropensieri difficili da estirpare e della cattiva concezione dei nostrani indossatori e indossatrici, ritenuti licenziosi e voluttuosi sebbene il modo di porsi fosse assai lontano da quello a noi noto.
Un’emancipazione spinta da cambiamenti sociali e da visionari come Richard Avedon e Patrick Demarchelier, deceduto lo scorso 31 marzo, i quali hanno rivoluzionato la fotografia di moda attraverso un approccio più umanistico, incentrato sul dischiudere la personalità di coloro che posano dietro l’obiettivo e portando il lettore a una profondità impensabile agli esordi dei magazine e degli editoriali.
Un lavoro oltre che mal visto, anche mal pagato fino all’arrivo dei patinati anni ’80 e ’90 – apoteosi del boom economico, dello sperpero, dei vezzi, delle celebrità e del mondo dello spettacolo a noi ancora tanto caro poiché ereditato da quei tempi d’oro – i quali hanno portato con sé le giuste radici su cui piantare le nuove fondamenta del fashion system, progressivamente vicino alla Hollywood dei sogni abitata da ricchi attori e stupende attrici ancora influenti.
È così che nasce il fenomeno del divismo delle modelle, a sua volta dovuto alla sovraesposizione di una ristretta cerchia di belle e talentuose giovani ragazze paragonabili a vere e proprie celebrità – e non più ad umili e anonime indossatrici simili a manichini – poiché riescono a prendere vita in campagne pubblicitarie, le quali hanno risonanza mondiale grazie al mix ideale tra abiti sensazionali, personaggi impeccabili e creativi come Steven Meisel.
Tale è il successo da trasformarle in top model, muse ispiratrici per grandi creativi come John Galliano, Alexander McQueen e Gianni Versace che, probabilmente, non sarebbero stati tali senza quelle generatrici di trend, scandali, intrighi amorosi e fotografie eterne e indelebili nella mente di coloro che hanno visto l’ascesa e la discesa di carriere invidiate tutt’oggi da aspiranti ragazze sognanti.
Il denaro, la fama e i grandi incarichi portano con sé, però, la necessità di sottostare a ritmi insostenibili come le stesse Big Six – locuzione usata per identificare le 6 top model più acclamate ai tempi, ovvero Linda Evangelista, Claudia Schiffer, Naomi Campbell, Kate Moss, Cindy Crawford e Christy Turlington – hanno dichiarato apertamente, alcune segnate da fatti negativamente noti come l’abuso di droghe e alcol, talvolta dovuto a cattive influenze in momenti di fragilità dettati dall’incapacità di gestire tutto ciò.
L’iconica Kate Mess (sì, è il suo pseudonimo), preferita studentessa decaduta di Karl Lagerfeld per Chanel, è l’esempio lampante della distruzione – paparazzata dal Daily Mirror insieme al “bello e dannato” Pete Doherty mentre facevano uso di cocaina – causata da quel mondo scintillante, glamour e bramato che ha colpito ripetutamente anche l’affascinante Naomi Campbell, ben nota per la sua camminata felina in passerella, vittima delle temibili e nuove arrivate droghe – dette pesanti – i cui effetti erano ancora ignari alla maggior parte.
Il dominio delle top, però, ha inizio con le favolose Linda Evangelista, Cindy Crawford e Christy Turlington e finisce con le stesse agli inizi degli anni 2000, i quali risultano essere deleteri per la creatività dei fashion designer più capaci e tragici per la perdita di creativi ineguagliabili, portando a una profonda crisi della figura della modella e del modello.
Quel fenomeno che ebbe motivo di essere specialmente grazie alla fiorente economia e alla leggerezza di uno dei ventenni ritenuto più bello di sempre, non potrà più tornare poiché la figura della modella influente e invincibile è stata brutalmente sostituita dagli attuali fashion blogger, celebrità dei social ma anche della vita vera, che il più delle volte oscurano attori e dominatori di passerelle.
Esempio di questo profondo cambiamento sociale è il successo di modelle come Kendall Jenner, Gigi e Bella Hadid: imparentate con celebrità e seguite da milioni di followers su IG, perciò non più donne che provengono dal nulla.
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Tuttavia con l’avvento di TikTok e l’exploit nel 2020 sono cambiati (nuovamente) i paradigmi dei giovanissimi, perché il social cinese non si è limitato a riesumare tendenze ormai datate, come l’Old money lifestyle, ma è stato capace di resuscitare anche i grandiosi anni ’80 e ’90 insieme alle “Big Six” e, soprattutto, le difficili ed interessanti Naomi e Kate. Modelli pericolosi poiché romanticizzano fisici anoressici, stili di vita folli trasportati da droghe di ogni genere e lo stereotipo della fidanzata ribelle delle rockstar, in auge specialmente durante quegli anni in cui la donna finalmente conquistava libertà e indipendenza.
Tuttavia bisogna ammettere che, inconsciamente, l’attaccamento a certe figure fuori dai nostri tempi sia dovuto alla nausea, alla noia dovuta ai “fisici alla Kardashian”, i quali sono parodiche rappresentazioni della donna formosa. Estremi che si scontrano e che portano a risultati terrificanti.
Cercando sull’ex Musically o su Instagram l’hashtag #KateMoss si possono trovare migliaia di video e foto della regina della ribellione, clubber fotogenica, rubacuori ed autentica “it girl” la cui carriera ebbe inizio a soli 16 anni rivestendo il ruolo di avanguardista essendo minuta e più bassa rispetto al prototipo di bellezza che dominava precedentemente al suo arrivo in passerella.
È stata indubbiamente la precorritrice di canoni estetici che spesso conducono a finali drammatici se estremizzati, in aggiunta all’aver reso chic outfit essenziali composti da jeans a vita bassa, canotte bianche (ora tanto di tendenza come ai tempi) e camicette vedo-non vedo.
Ha incarnato il concetto sbagliato ed effuso di perfezione attraverso accurate proporzioni, come se l’avesse scolpita Policleto, rese note a tutti attraverso il celeberrimo servizio fotografico firmato Calvin Klein che l’ha introdotta in un mondo parallelo e deleterio.
Nonostante abbia spesso esordito con frasi del tipo “Non c’è niente di più gustoso di sentirsi magrissime”, perdura l’apprezzamento nei suoi confronti poiché ha rappresentato il sogno del successo della bellezza.
Anacronistico quanto temibile il ritorno di foto ritenute “iconiche” in cui le apparentemente perfette modelle sono evidentemente sotto uso di stupefacenti o risultano rivestire il ruolo svilente di semplici accompagnatrici di cantanti rock tormentati, autodistruttivi.
La ricomparsa dell’ambizione di replicare carriere consimili a quella di Claudia Schiffer è possibile unicamente grazie a giovani sognatrici, o sognatori, testimoni degli scintillii di quello stile di vita ma privi della completa visuale di un fenomeno assai difficile da analizzare quanto quello della popolarità deleteria e repentina. E forse sarà – anche – colpa di quell’innegabile sentimento di mancanza di un tempo in cui il “sogno americano” esisteva non solo negli USA, le opportunità di lavoro erano all’ordine del giorno e c’era ancora qualcosa di bello da scoprire, o almeno così viene raccontato ai più giovani il periodo precedente al contemporaneo Decadentismo.
Non c’è una soluzione a questo violento ritorno come per molte altre cose, ma esiste il libero arbitrio per distanziarsi da una realtà poco positiva e tanto negativa quanto quella delle dive distrutte dalla vita.
Potremmo credere che stia vaneggiando sennonché all’orizzonte è possibile ammirare l’arrivo a velocità elevate di un recentissimo trend: la “feral girl”, esito di quei cattivi esempi che da un anno a questa parte hanno bussato alle porte della Gen Z – me incluso -, sebbene non se ne fossero mai andate e stavano studiando attentamente il loro gran ritorno. In cosa consiste tutto ciò? Semplicemente in una ragazza che non ha schemi, regole e che rifiuta la teorizzazione della perfezione alla base della società occidentale da millenni.