La parola overtourism è entrata da tempo nel nostro linguaggio corrente e, contemporaneamente, nel dibattito pubblico. Anche in quello italiano. Tutti ormai ne conosciamo bene il significato: il sovraffollamento di una località a seguito di un afflusso eccessivo di turisti, che crea disagi ai residenti e ai turisti stessi.
Un fenomeno che interessa varie dimensioni e può assumere diverse forme a seconda del luogo in cui si verifica: cittadini che si ritrovano invasi da flussi ininterrotti di turisti, trasformando strade e piazze in spazi affollati e caotici che spesso finiscono per snaturare l’autenticità dei luoghi; aree naturalistiche, ormai difficili da apprezzare appieno, prese d’assalto da masse di visitatori a qualsiasi ora del giorno; ecosistemi fragili, sottoposti a un afflusso continuo di persone per molti mesi all’anno, che subiscono così uno stress crescente, con il rischio di compromettere la biodiversità e la sostenibilità di alcuni ambienti unici e rari. Luoghi in cui il numero di turisti supera, costantemente o in certi momenti dell’anno, la capacità fisica o ecologica di accoglienza di una certa località.
È un problema che riguarda da anni molte città d’Europa e che sta irrimediabilmente trasformando l’assetto urbano dei luoghi in cui viviamo, con impatti economici, sociali, culturali e ambientali, a volte ancora invisibili ma già piuttosto consistenti. La sua causa principale, molto spesso, ha a che fare con la diffusione degli affitti di appartamenti a breve termine, destinati a turisti che si fermano in un luogo per pochi giorni, riducendo la disponibilità di affitti a lungo termine e di casa per i residenti a prezzi più accessibili e, al contempo, provocando un aumento generalizzato dei prezzi.
L’estate appena trascorsa sarà ricordata, fra le altre cose, anche per la lotta all’overtourism. Un’escalation di manifestazioni pubbliche di ostilità verso i turisti, in un clima a metà strada tra il malcontento collettivo e una vera e propria rivolta.
Dalle pistole ad acqua usate dai residenti contro i turisti a Barcellona – che è stata anche la prima città al mondo ad annunciare il blocco totale di Airbnb, dal 2029 -, ai droni utilizzati in Grecia per liberare le spiagge occupate abusivamente, ai cortei vastissimi nelle città di Palma di Maiorca e Tenerife, alle invasioni sull’isola di Sylt, dove un gruppo di punk tedeschi ha deciso si occupare l’isola per denunciare le nefaste conseguenze della turistificazione nell’esclusiva località situata nel Mare del Nord, fino al caso di Santorini, in cui durante quest’estate vi sono stati giorni in cui il numero dei turisti superava quello dei residenti sull’isola greca – costringendo l’amministrazione comunicale ad annunciare la promulgazione di una legge per cui, a partire dal 2025, sarà reintrodotto il tetto massimo di turisti giornalieri che possono arrivare sull’isola, 8 mila.
Una misura quest’ultima, che rientra nella strategia di regolamentazione dello spazio pubblico, così come lo era stato l’introduzione del biglietto di ingresso a Venezia, istituito lo scorso aprile.
C’è un oggetto che più di ogni altro è diventato simbolo di questo turismo fuori controllo. Si tratta delle piccole cassette porta chiavi, conosciute sotto il nome di keybox o lockbox, che vengono utilizzate dai proprietari di appartamenti turistici per consentire l’accesso agli ospiti anche in loro assenza. Hanno un’apertura numerica e rappresentano una soluzione comoda per le pratiche di check in del turista, senza che quest’ultimo debba incontrare fisicamente il proprietario. Una consuetudine nata con la pandemia che si è rapidamente diffusa negli ultimi anni, in parallelo al boom degli affitti brevi su piattaforme come Airbnb e Booking.
Oggi le keybox sono così numerose da essere diventate parte dell’arredo urbano delle città, dalle zone centrali a quelle più periferiche. È possibile trovarle appese ai cancelli, sui pali della segnaletica stradale, sulle rastrelliere per le bici, così come agganciate sulle panchine o alle grate di palazzi storici. Occupando principalmente spazio pubblico. Un arredo indesiderato che ha recentemente dato origine a nuove forme di protesta, innanzitutto simboliche, in diverse città italiane.
A fine ottobre, a Roma, un gruppo di attivisti anonimi aveva rimosso le keybox in alcune zone del centro città. Al loro posto i turisti hanno trovato un volantino contro la turistificazione della capitale, con il messaggio: “Negli ultimi anni è stata registrata una crescita esponenziale nel prezzo degli affitti. Gli affitti a breve termine, più redditizi, divorano quelli a lungo termine, togliendo spazio alle famiglie per far posto ai turisti. Sabotiamo la speculazione per difendere il diritto alla casa”. Sopra un cappello verde alla Robin Hood.
Lo scorso weekend invece la protesta ha toccato le città di Milano e Firenze. Nel capoluogo lombardo si è tenuta un’iniziativa denominata “Questa città non è un albergo” e promossa da alcuni comitati cittadini che, sabato, ha visto decine di residenti riunirsi per attaccare adesivi lilla e gialli sulle tastiere dei lockbox nella zona dei Navigli al fine di impedirne, simbolicamente, l’utilizzo.
Negli stessi giorni a Firenze gli attivisti e le attiviste dell’associazione Salviamo Firenze hanno attaccato centinaia di adesivi rossi sopra i lockbox della città, a formare una X. «Firenze muore di turismo selvaggio e speculazione» si legge sulla pagina Facebook dell’associazione che ne rivendica l’atto.
Proprio Firenze sembra essere un punto di riferimento riguardante il conflitto sull’overtourism. Nel capoluogo toscano si svolge in questi giorni il primo G7 sul turismo. A inizio settimana, in risposta a quella che è stata una delle proteste più visibili tra quelle organizzate in città contro gli affitti brevi, la sindaca Sara Funaro ha approvato un piano per contrastare il turismo di massa nel centro storico.
Si articola in 10 punti e, tra le altre cose, vieta a partire dal 2025 l’installazione delle stesse keybox. Il divieto coinvolge tutti gli spazi compresi in un’area dal raggio di circa 2 chilometri, coincidenti, più o meno, con il centro storico della città. Fra gli altri punti del piano annunciato dall’amministrazione comunale figurano anche l’introduzione di limiti alla circolazione delle golf car, i piccoli veicoli aperti utilizzati in città per il trasporto di turisti e dei loro bagagli, e il divieto di utilizzo di altoparlanti da parte delle guide turistiche.
Seppure Firenze cerchi da tempo di limitare le conseguenze negative del turismo di massa in città – è stato ad esempio recentemente approvato un decreto, su proposta della stessa sindaca, che introduce limitazioni all’apertura di nuovi negozi e ristoranti in 42 strade del centro storico, con l’obiettivo di tutelare e favorire le attività commerciali storiche e locali -, l’impressione, anche leggendo diverse opinioni online, è che la misura che vieta l’installazione di keybox sia facilmente aggirabile – con una serratura wifi o con serrature che sfruttano la chiave NFC ad esempio – e non rappresenti una reale misura di contrasto al problema del sovraffollamento turistico. Un provvedimento che cerca di tamponare un problema, nascondendolo, senza arrivare direttamente al nodo della questione.
Firenze è l’ultima di diverse località italiane ad attuare restrizioni sul turismo di massa. Dopo il celebre caso di Venezia, la scorsa settimana il sito archeologico di Pompei ha annunciato che limiterà i visitatori giornalieri a 20.000 con l’introduzione di ticket personalizzati. Anche a Roma sarà limitato l’accesso dei visitatori alla Fontana di Trevi a partire dal prossimo dicembre, dopo che i lavori di ristrutturazione saranno completati.
A Napoli, altra città dove gli impatti dell’overtourism sono da tempo evidenti, lo scorso settembre era stato organizzato un flash mob, denominato “Resta abitante”: i manifestanti avevano ricoperto le serrande di alcune edicole chiuse con grandi cartelloni, che imitavano la prima pagina del quotidiano Libero, esponendo titoli e articoli critici sull’overtourism.
Secondo i dati delle Nazioni Unite, nel 2023 si sono registrati nel mondo oltre 1,3 miliardi di spostamenti turistici. In Italia, nello stesso anno, gli arrivi hanno superato i 134 milioni, con un totale di 451 milioni di presenze negli esercizi ricettivi. Tuttavia, più che i numeri assoluti, a destare attenzione è la forte concentrazione dei flussi di questo turismo: a livello mondiale l’80% dei viaggiatori si dirige solo verso il 10% delle destinazioni globali, e in Italia il 70% dei visitatori si concentra in appena l’1% del territorio. Questo fenomeno crea forti disparità economiche, oltre a esercitare una pressione elevata sulle comunità locali, sull’ambiente, sui servizi e sulle infrastrutture delle aree più frequentate.
Se le forme di protesta a cui, a vari livelli, stiamo assistendo in Europa e non solo abbiano potenzialità per dare origine a una nuova forma di turismo, rimane complesso da sentenziare. Quale sia il confine, se mai un confine sia possibile tracciarlo, fra normative regolatorie e legittimazione di far ciò che si vuole della propria abitazione, altrettanto. Il problema rimane oggi lontano da ogni soluzione.