Si chiama trompe-l’œil quella tecnica artistica che, attraverso un sapiente uso del chiaroscuro e della prospettiva nella pittura, dà l’impressione di guardare un soggetto tridimensionale che in realtà non è nient’altro che un dipinto su una superficie bidimensionale. Considerata come una delle rappresentazioni più evidenti dell’illusione ottica, detta anche “inganna l’occhio” dalla traduzione letterale francese o “mistificazione della realtà”, questa tecnica si dice risalga addirittura all’antica Grecia e alla società romana, anche se in modo rudimentale rispetto a quella che conosciamo oggi. Questo genere pittorico verrà utilizzato anche nelle epoche successive, arrivando fino all’arte contemporanea, sebbene il termine proprio sia nato nel periodo barocco.
La sua massima diffusione avviene dal Trecento alla fine del Cinquecento, specialmente in Italia e nelle Fiandre, ovvero le due regioni più artisticamente floride del periodo, note soprattutto per la sublime attenzione nei confronti del dettaglio e per la fedeltà al reale. Uno dei suoi precursori fu Giotto, che ne fece impiego nella Cappella degli Scrovegni di Padova, ancor prima che il Rinascimento ne teorizzasse le prime regole sulla pittura “architettonica” con gli esempi di Masaccio, Brunelleschi, Andrea Mantegna e successivamente di Palladio nei falsi “sfondati” prospettici.
Siamo nell’Ottocento quando invece il trompe-l’œil si manifesta comunemente negli edifici nobili attraverso dipinti a muro e a soffitto pensati per sconfinare oltre la materialità dello spazio con finte finestre, cieli, tendaggi o addirittura statue e colonnati.
Con l’avvento della fotografia le arti pittoriche hanno però lasciato da parte la tensione a rappresentare fedelmente la realtà e dunque anche il trompe l’œil ha cominciato gradualmente a dissolversi nel repertorio degli artisti del XX secolo. Rimarranno comunque vive alcune eccezioni tra cui M.C. Escher, che piuttosto di cadere nell’interpretazione e nella pura astrazione tende ancora a ricorrere alle forme del reale studiando la percezione che noi abbiamo di esse. Un altro sarà Salvador Dalí, che nella sua visione iper-realistica giocherà ancora, forse però più in chiave psicologica, con le illusioni prospettiche e le immagini a doppia interpretazione; quanto a oggi, invece, l’unica manifestazione di trompe-l’œil applicata all’arte la si trova, per puro caso, se si ha la fortuna di imbattersi in uno degli street artist che ancora decorano i pavimenti stradali delle grandi città.
E, se come abbiamo detto, il trompe-l’œil scompare dall’arte, sarà invece nella moda che troverà ancora largo spazio. Fondamentale è considerare come gli stilisti siano da sempre attratti da ogni tipo di forma artistica per traslarla nelle loro collezioni. Quale allora miglior formula se non quella di creare mimetismi, confusioni e inganni ipnotici? Ben vengano dunque capi d’abbigliamento che, anziché riprodurre elementi architettonici, dipingono componenti tessili come drappeggi, tasche, foulard, corsetti o addirittura soprabiti in modo estremamente fedele o non.
Pioniera dell’inganno rubato all’arte non poteva essere che Elsa Schiaparelli, colei che è stata definita “più surrealista dei surrealisti” e rivoluzionaria stravagante per definizione. Già nella collezione “Pour le Sport” del 1927 diede vita infatti a della maglieria caratterizzata da effetti ingannevoli di sciarpe e fiocchi appoggiati sulle spalle, la quale tra l’altro è stata ripresa nella collezione autunno/inverno 2022 prêt-à-porter di Schiaparelli da Daniel Roseberry. D’altronde fu proprio lei a ritenere che disegnare vestiti non fosse una professione bensì un’arte, e la storica amicizia con Dalí non può che averla influenzata verso questa direzione.
Altro nome iconico spesso associato a questa antica tecnica è quello di Moschino, che già dagli inizi della sua carriera ha proposto abiti con cuciture e dettagli stampati di bottoni, tasche e carré, rispolverati dal direttore creativo Jeremy Scott in chiave decisamente pop nella primavera/estate 2017. Negli anni Cinquanta fu invece la volta di Hermès e da lì in poi seguiranno Vivienne Westwood, Alexander McQueen, Fendi, Gucci, Margiela, Prada nelle borse e COMME des GARÇONS con i suoi ibridi fasulli di mantelle e giacche militari.
Il genere non risparmierà nemmeno lo streetwear, categoria dove si hanno forse meno casi ma non per questo trascurabili. A tal proposito ricordiamo la collaborazione tra Supreme e The North Face della primavera/estate 2020, dove era presente una t-shirt in cui era stato stampato fronte retro un gilet della linea d’archivio Remote Terrain Gear; oppure la mitica maglietta-smoking nata nel 2018 dalla partnership tra Off-White e Nike. Non mancano neppure le sneakers, prime fra tutte le adidas Stan Smith disegnate nel 2019 da Raf Simons con la sovrapposizione sulla tomaia di fotografie di altri modelli quali Micropacer, L.A. Trainer e Torsion Conquest Super.
Un grande revival del trompe-l’œil l’abbiamo visto nelle ultime fashion week, dove sia designer emergenti che maison blasonate l’hanno decretato come vero e proprio trend di stagione. Questa volta però il focus si sposta da un lato sulle forme del corpo e le sue metamorfosi, che in tempi di sexyness si traducono in topless, nudi integrali, addominali in vista e riflessioni sul genere, e dall’altro sull’eccellenza dell’artigianato.
A rappresentare il primo al meglio è stato Glenn Martens che, prima nella sfilata di Y/Project e poi in quella di Jean Paul Gaultier dedicata al nuovo capitolo dell’haute couture, ha presentato la sua collaborazione con il leggendario stilista francese, la quale si basa proprio sulle iconiche stampe trompe-l’œil del 1997, reinterpretate ad hoc con nudità che sovrappongono e mixano maschile e femminile su pantaloni, abiti e giacche di jeans in colori fluo. Un’ispirazione simile si trova anche nella collezione maschile fall/winter 2022 di LOEWE, in cui Jonathan Anderson si rifà al Dadaismo e alla voglia di stravolgere le convenzioni con un alternarsi di realtà e illusione che trova il suo apice nei look in cui sono stati stampati i ritratti dei modelli che li indossano.
Per quanto riguarda invece il secondo abbiamo Balenciaga con dei jeans in cui il trucco dei finti strappi si può constatare soltanto mettendo mano sul tessuto e Bottega Veneta che, in occasione del debutto di Matthieu Blazy, ha ingannato tutti (professionisti compresi) con un paio di pantaloni simili in tutto per tutto al denim ma in realtà fatti di pelle nabuk.
Notiamo quindi come la tecnica del trompe-l’œil sia un fil rouge che abbraccia non soltanto diverse epoche e svariate correnti culturali ma anche tutte le possibili forme di arte visiva, come insegna la mostra “Trompe-l’œil. Imitations, pastiches et autres illusions” tenutasi nel 2013 al Musée des Arts Décoratifs di Parigi. In fin dei conti, come non rimanere stupiti davanti a un’immagine che si rivela essere l’illusorio contrario di ciò che appare?