L’essenza della moda si riduce a un continuo vortice di ispirazioni e riferimenti attraverso i quali ogni abile stilista riesce a dare un significato ampio a un prodotto che altrimenti risulterebbe anonimo, effimero e fine a sé stesso. L’asso vincente è dunque trasformare quello che può sembrare un semplice capo d’abbigliamento in un simbolo capace di rispecchiare o addirittura avviare le passioni di una persona. Le influenze che hanno contribuito nel tempo a sviluppare questo concetto sono le più svariate, dall’arte all’architettura, passando per il cinema, lo sport e quant’altro, fino ad arrivare persino al mondo dei manga/anime. Proprio questa realtà, che fino a non molto tempo fa era considerata di nicchia o perlomeno rivolta a un certo tipo di pubblico generalmente distante dai target del fashion system, nell’ultimo periodo si è affermata notevolmente tra i cataloghi dei più celebri brand streetwear e persino sulle prestigiose passerelle di Milano e Parigi.
Se dobbiamo individuare l’inizio di tutto ciò, è per forza necessario cominciare direttamente dal Giappone, o meglio da Tokyo, anzi, ancor più precisamente dallo stravagante quartiere di Harajuku. Siamo più o meno negli anni Ottanta e tra le principali fermate della metro si sta sviluppando in modo del tutto spontaneo uno stile molto particolare tra i frequentatori del luogo: nel pieno rispetto del folklore nipponico, quello che adesso viene considerato cosplay si fonde sempre di più agli outfit di tutti i giorni, definendo così l’estetica kawaii. Questi street style, prettamente concepiti per alimentare l’ossessione per la cultura pop dei cosiddetti otaku, si diffondono a dismisura, arrivando da lì a poco ad attirare l’attenzione anche del resto del mondo.
Negli anni Novanta titoli come “Dragon Ball”, “Sailor Moon”, “Ghost in the Shell” e “Mobile Suit Gundam” iniziano ad essere trasmessi sulle tv americane ed europee, incuriosendo una certa percentuale di individui a scavare più a fondo nella sfera. Tra questi c’è un certo Jeremy Klein, noto skater cresciuto in California a colpi di trick e serie animate. La sua carriera nell’ambito dello skateboard si evolve sempre più, a tal punto che nel 1993 decide di fondare la propria label: Hook-Ups. Già dal principio i deck e il merchandising vantano un tratto stilistico molto preciso, con continui riferimenti agli anime, mescolati ad alcune inclinazioni personali, tipo un’accentuata componente erotica che ben presto portò i suoi articoli a essere banditi dalle scuole statunitensi. L’idea di fondo, spiegò in seguito Klein, nacque perché banalmente in quel frangente nessun’altra azienda stava attingendo a quello scenario e quindi chi aveva i suoi stessi interessi si ritrovava con un vuoto da colmare. Tuttavia, a fine millennio la sua popolarità si dissolve gradualmente, anche se in tempi molto recenti è stato rivalutato, forse anche grazie all’intervento del trend vintage, ragione per la quale vi sarà capitato di vedere inconsciamente le sue felpe e le sue t-shirt indosso a Jonah Hill, Virgil Abloh e Travis Scott.
Restando in tema streetwear, va sicuramente citato il re della categoria, ovvero Supreme, che anche in questo ambito ci ha messo del suo. Seguendo pienamente la sua attitudine irriverente e mai banale, il colosso newyorkese ha infatti sfornato negli anni alcune capsule legate proprio al mondo dei manga. Si ricorda la collaborazione dell’autunno/inverno 2015 con Toshio Maeda, il mangaka di “La Blue Girl” e “Urotsukidoji”, famoso soprattutto per aver introdotto nel genere hentai l’elemento del tentacle rape, su cui preferiamo non soffermarci troppo. James Jebbia tornerà ad abbracciare il genere due anni dopo, con una linea dal sold out istantaneo che celebra “Akira“.
Vale la pena spendere due parole sull’opera di Katsuhiro Otomo, considerata come il manga/anime più influente di sempre. Basti pensare che per adattare il fumetto sul grande schermo, ogni frame è stato realizzato a mano, utilizzando 327 colori, di cui 50 inediti (vedi il “rosso Akira”), per non parlare poi dell’interpretazione concettuale suggerita dalla trama, specchio di una società violenta e di un governo corrotto. La première nelle sale cinematografiche, per esempio, è stata curata dallo stilista Kansai Yamamoto, il quale firmò una t-shirt attualmente considerata un grail.
Piccola curiosità: Kanye West si ritiene il fan numero uno di “Akira”, motivo per cui si è ispirato ad esso per il videoclip della sua hit “Stronger“.
Detto ciò, l’artista non è l’unico a essere rimasto affascinato da questo capolavoro, poiché il suo impatto nel mondo della moda (e non) è piuttosto importante, a partire da COMME des GARÇONS, che nel 2013 lo sottopone a un mash-up grafico per la decorazione di un booklet e di diverse tote bag, fino ad arrivare a LOEWE, che sotto la nuova visione del direttore creativo Jonathan Anderson decide di ispirarsi al Giappone e al suo strabiliante legame tra passato e futuro per la collezione primavera/estate 2016.
Contemporaneamente i crossover tra l’alta moda e i manga/anime si moltiplicano e la maison che sembra essere più coinvolta in questa tendenza è Gucci. Durante l’era di Frida Giannini si instaura infatti una partnership con Hirohiko Akari, il creatore de “Le bizzarre avventure di Jojo“, che sorprendentemente nel 2011 inventa insieme alla griffe fiorentina uno spin-off che verrà pubblicato sulla rivista di moda femminile Spur. Il capitolo autoconclusivo parla di Rohan Kishibe e del suo viaggio in Italia alla ricerca di risposte sul mistero che si cela dietro alla borsa di sua nonna. Il sodalizio si rinnova con “Jolyne, Gucci de Tobu”, una nuova storia che parla di una studentessa anch’essa occupata nel risolvere il mistero legato a un capo Gucci ereditato dalla madre. Oltre ai due manga one-shot, la collaborazione consiste anche in diversi allestimenti curati dal mangaka stesso nelle boutique della firma.
A riprendere questa visione sarà anche Alessandro Michele, che ha fatto della sua fissazione con la cultura pop una carta vincente. Nella sfilata della collezione autunno/inverno 2018 compare Natalia, personaggio in stile shōjo estrapolato dal manga “Viva! Volleyball” di Chikae Ide, mentre per l’autunno/inverno 2020 Eiichiro Oda viene incaricato di disegnare un lookbook in cui i protagonisti di “One Piece” indossano i capi della nuova collezione, fino ad arrivare alla recentissima linea dedicata a Doraemon.
Seguiranno la scia anche MSGM, UNDERCOVER e GCDS, che negli ultimi anni hanno portato nei loro défilé stampe con riferimenti espliciti a “Attacker YOU!“, “Capitan Tsubasa“, “Pokémon” e “L’incantevole Creamy“.
Va detto però che esiste anche il fenomeno inverso, ovvero quando sono gli anime a riprendere le dinamiche del fashion business e a fare citazioni più o meno dirette. E se gli outfit indossati da Yusuke Urameshi in “Yu degli spettri” quasi tre decenni fa vengono oggi considerati un modello invidiabile di trendsetter, nella serie originale Netflix “Neo Yokio” il protagonista Kaz Kaan, occupato nel combattere i demoni in una lussuosa versione alternativa di New York, espone senza troppi veli la sua passione per la moda, citando continuamente nomi del calibro di CELINE, Ralph Lauren, Prada, Alexander Wang e Louis Vuitton. In un episodio, per esempio, la fashion blogger più famosa della città viene posseduta, ma in realtà in seguito si scopre che (attenzione agli spoiler) la presenza demoniaca si è rifugiata non nel suo corpo bensì nel suo abito in tweed di Chanel.
Abbiamo visto quindi come quello di cui stiamo parlando è un legame piuttosto assodato e reciproco, destinato con ogni probabilità a durare nel tempo e a riservarci ancora molte sorprese.