Mirko Borsche ci ha raccontato origine e futuro del nuovo logo dell’Inter

Il restyling del logo dell’Inter è uno degli step più significativi degli ultimi anni di calcio italiano, non solo per la caratura della squadra in questione, ma anche per le modalità in cui è avvenuto. Non solo l’Inter ha abbandonato un logo oltremodo storico e con più di 100 anni di storia, ma ha anche scritto nuove pagine del design sportivo affidandosi a persone come Dee Mo e Moab per le grafiche del lancio della quarta maglia, due persone che rappresentano passato, presente e futuro dell’estetica hip-hop italiana, così come ha affidato il nuovo logo e la visual identity a Bureau Borsche, uno studio che non ha particolari legami storici con il calcio, ma più che altro con la moda, portando il look del club milanese nell’epoca digitale così da poterlo applicare a tante altre situazioni svoltesi fuori dal campo da calcio.

Proprio questo elemento è stato argomento di discussione per i tifosi. Che l’Inter abbia perso eccessivamente di vista il proprio pubblico o più semplicemente il legame col calcio giocato a favore di un focus lifestyle che va tanto di moda in questo periodo? Forse a un occhio poco attento può sembrare così, come può sembrare che il nuovo logo sia solo una semplificazione di quello precedente, ma il lavoro che c’è dietro è molto più maniacale e certosino di quello che si possa pensare. Borsche ha lavorato con e per Supreme, Vitra, RIMOWA, BALENCIAGA, Slam Jam, HIGHSNOBIETY e tante altre realtà in maniera molto diversa, dal typewriting alla creazione totale della brand identity, dal restyling del logo alla creazione di design per packaging e abbigliamento.

Sappiamo che Mirko Borsche e un team di 11 persone hanno lavorato per un anno su questo progetto che ha portato alla realizzazione di oltre 300 loghi, un lavoro mastodontico. Noi di Outpump abbiamo parlato con Mirko Borsche per approfondire alcuni di questi elementi ma soprattutto per capire come questo logo, ora che è nato e sta imparando a camminare con le sue gambe, sopravviverà nel mondo dei grandi dello sport.

Quella con Mirko Borsche è stata una conversazione piacevole e rilassata, un incontro tra appassionati di sport e di design per cercare di capire al meglio come questi mondi hanno comunicato e potranno farlo in comune. Durante la chiacchierata si è unito anche Kolja Buscher, graphic designer di 31 anni nonché coordinatore del progetto Inter e precedentemente del rebranding di BALENCIAGA.

Ogni lavoro di Bureau Borsche, così come quello di ogni agenzia grafica, comincia con un focus sul target di pubblico. Come ci si focalizza su un pubblico vasto e complesso come quello di un club di calcio? Specie in una città come Milano.

È praticamente impossibile perché il calcio è qualcosa di estremamente democratico: include giovani e anziani, gli abitanti del centro e quelli della periferia, i ricchi e i meno abbienti. In questo lavoro abbiamo percorso la strada al contrario perché siamo partiti dalla consapevolezza di avere tra le mani un prodotto appetibile che non cambia, ovvero il calcio in sé, oltre che ovviamente la squadra. Ovvio, cambiano i calciatori, gli sponsor e tanto altro, ma il club rimane, così come la passione dei tifosi. In questa occasione siamo quindi partiti dall’analisi del prodotto e non del pubblico, perché sapevamo che sarebbe stato impossibile accontentare tutti, è normale quando si tocca qualcosa di così storico, quasi sacro. Sappiamo che molte persone hanno la propria casa o la macchina cosparsa del vecchio logo, alcuni ce l’hanno tatuato, e per questo abbiamo cercato di trattarlo con estrema delicatezza. Ne abbiamo parlato tra di noi, con il dipartimento marketing del club e con ex giocatori per cercare di lavorare in maniera corretta. Molta della nostra ricerca iniziale è avvenuta su Instagram e abbiamo segretamente seguito diversi hardcore fan per capire i loro gusti e come vivono il tifo. Alcuni brand cercano giustamente di fare focus group o ricerche di mercato ma in questo specifico caso sarebbe solo una perdita di tempo. Non è stato facile.

Mirko Borsche nel suo studio.

Lo stile di Bureau Borsche è diventato sempre più popolare e riconoscibile in questi anni, quindi è normale cercare di capirne l’influenza anche nel mondo sportivo. Quanto il tuo e vostro stile personale ha influenzato questo restyling?

Cerchiamo sempre di seguire i bisogni del cliente ma ovviamente abbiamo un gusto personale. Il nostro lavoro è estremamente soggettivo e sapevamo che andavamo incontro a bisogni più specifici rispetto a quelli che affrontiamo solitamente nella moda. Certo, c’è il nostro stile in questo logo, ma c’è anche la consapevolezza di aver realizzato un simbolo che dovrà rimanere operativo per maggiore tempo rispetto alle creazioni del mondo del fashion.

Hai già parlato della mancanza di visibilità del vecchio logo nel mondo digital e in TV. Trovi che il punto di partenza per un restyling del genere venga dalla visione televisiva e digitale o dalla presenza su elementi più classici come la maglia da gioco?

In realtà crediamo che al giorno d’oggi la maglia da gioco e gli elementi digitali siano sullo stesso piano. Il vecchio logo era stupendo, siamo tutti d’accordo, ma anche poco visibile sulle maglie viste dal vivo, non solo dalla televisione. Un tifoso si può trovare a venti metri dal campo ma avrebbe comunque difficoltà a vederlo. I fan lo conoscono ma nella mentalità della squadra c’è l’apertura al pubblico di tutto il mondo, non a caso si chiama Internazionale. Certo, metà delle informazioni originali sul logo mancano, la F e la C, ma abbiamo mantenuto molto del vecchio logo. I cerchi restano, così come lo spessore delle linee, molti degli elementi curvi e addirittura alcune parti cromatiche. Ridurre i colori che contemporaneamente convivono sul logo da quattro (nero, azzurro, bianco e oro) a tre (nero, blu e bianco) rende il crest più visibile online quanto sulla maglia casalinga, in cui sarebbe andato a sparire. Nelle prime due partite contro il Sassuolo e il Cagliari si è visto il nuovo logo esposto allo stadio e la visibilità è davvero notevole.

La riduzione cromatica ne aumenta anche la versatilità.

Il logo è già stato presentato in una versione gialla su base nera e non è banale per un club poter alternare colori così diversi su un crest. l’Inter può farlo. Il logo è attivo da poco più di una settimana e già si è visto l’impatto digitale di questa creazione. L’icona Instagram del club è già stata cambiata due volte, in due colori diversi. Sulla Nike Air Force 1 troviamo una terza versione del badge, ancora più semplice e con una sezione di cerchi in meno. Abbiamo cercato di dare vita a qualcosa di giovane, minimale, agile ma anche classico ed elegante. Col passare del tempo si capiranno sempre di più le possibilità e le varianti che questo logo può avere, la terza maglia della stagione 2021-22 sarà un ottimo esempio. Ci saranno molte sorprese nel prossimo futuro.

È stato comunicato il mantenimento delle proporzioni originali all’interno del logo per il 90%, così come sono stati mantenuti alcuni elementi della M. Approcciando il vecchio logo, quali sono gli elementi che fin dall’inizio avevate pensato di non toccare e quali invece rivoluzionare completamente? C’erano motivi specifici dietro queste scelte?

Abbiamo pensato inizialmente di ridurre alcuni elementi per renderlo più visibile ma mantenendo lo stesso flow. Abbiamo eliminato la F e la C di Football Club non solo per una questione estetica ma anche di significato. Lo stesso logo ora può essere utilizzato sulle linee di abbigliamento lifestyle con più facilità, ma anche sulle divise esports, un mondo in cui il termine Football Club non sarebbe corretto. Noi siamo a Monaco di Baviera e abbiamo il Bayern Monaco che ha anche una delle principali squadre di basket della nazione ma ha comunque la scritta FC Bayern München sul petto. Non ha senso avere la dicitura Football Club per una squadra di basket. Quello che ha voluto fare l’Inter è stato estremamente coraggioso.

Da questa scelta è nata anche l’identità Inter Milano?

Certamente. I rivali dell’A.C. Milan non solo hanno un nome che si identifica con la traduzione inglese della città, ma includono anche la bandiera cittadina all’interno del proprio logo. L’Inter incentra la propria identità sul raggiungimento del pubblico internazionale e per questo non può rischiare di confondere il proprio nome con altro. In molte città, come Monaco ad esempio, ci sono multiple squadre ma capita che non giochino nella stessa divisione, quindi è facile contestualizzare. Inter e Milan hanno storie che si incrociano, si sono scambiate giocatori e giocano entrambe ad alti livelli, quindi sentivamo il bisogno di comunicare maggiormente l’identità del club. I e M dovevano spiccare perché Internazionale è l’anima della squadra, Milano è l’origine. Per i tifosi più hardcore può non essere rilevante ma per quelli esteri o per chi si sta avvicinando al tifo può fare la differenza. Da questo è nata anche la campagna “I M”, due lettere che già da sole hanno un significato enorme a livello globale. Gli slogan sono importanti, si pensi a quanto è riconoscibile il You Will Never Walk Alone del Liverpool. Molti tifosi di Milan e Juventus hanno ripreso queste lettere e le hanno associate a “Inter Merda”, ma così facendo hanno solo aiutato a rendere ancora più popolare la campagna dell’Inter.

Un altro elemento tipico dell’Inter e di Milano è il Biscione. Molti lavori di Bureau Borsche si focalizzano tradizionalmente sul lettering, come avete quindi approcciato un elemento puramente grafico come il Biscione?

Il brief iniziale era focalizzato sul realizzare degli studi biologici per capire le caratteristiche di un animale che a tutti gli effetti non è reale, motivo per cui abbiamo ricercato nella vecchia araldica milanese e in quella della famiglia Visconti, abbiamo combinato alcuni elementi inserendo anche parti dei veri serpenti e abbiamo creato una nuova iconografia. Anche in questo caso vedremo diverse varietà, sia dal punto di vista dei dettagli che dei colori usati, specie sugli accessori e sui prodotti per bambini. Ci tenevamo a dare una riconoscibilità a questa figura quasi mitologica in modo che le persone in tutto il mondo colleghino la figura del Biscione con quella dell’Inter.

Abbiamo menzionato la Air Force 1 ma anche l’abbigliamento lifestyle. L’Inter vuole aumentare la propria produzione di prodotto lifestyle. Si tratta di una tematica che ha pesato nella realizzazione del logo?

Si pensi solamente al PSG. È raro che una squadra di calcio riesca a prendere l’iconografia di un brand cestistico e renderla applicabile al calcio. L’Inter sta percorrendo quella strada perché assicuro che ci sono in programma delle collaborazioni davvero molto interessanti e di alto livello. Per fare ciò però serviva un logo che potesse parlare più facilmente ai marchi di moda e non solo, in modo che fosse più facile creare delle collaborazioni. Si pensi al kit attuale: troviamo un crest estremamente complesso al fianco dello Swoosh di Nike, forse il logo più semplice e minimale al mondo.

La prima linea lifestyle col nuovo logo.

Il rebrand dell’Inter non finisce col logo. Che tipo di lavoro c’è stato per coordinare l’Inter Media House sulla nuova estetica? Dalle grafiche per la partita al sito, i social media e molto altro.

Negli ultimi sei mesi ci siamo interfacciati con l’Inter e il suo dipartimento grafico praticamente su base quotidiana. Abbiamo sviluppato delle linee guida online che possono essere facilmente condivise e aggiornate perché molti brand si inviano PDF che dopo un mese sono già da buttare. Diversi PDF su diversi desktop porta solo a errori. La volontà era di creare qualcosa di semplice e flessibile, con pochi paletti sull’uso di colori e caratteri tipografici, perché l’Inter non ha solo la Media House, ma collabora con tanti enti in tutto il mondo che devono seguire le medesime regole condivise internamente.

Parlando di loghi, negli ultimi tempi abbiamo visto una continua diffusione del flat design, tanto nei brand come nello sport. Proprio nel calcio vediamo tante Nazionali che stanno passando all’utilizzo di questi ultimi, mentre nei brand di più larga scala lo vediamo ormai ovunque, dalla moda all’automotive come con BMW. Che ne pensate di questa moda e la sua diffusione anche nello sport?

Lo sta facendo chiunque. Mercedes-Benz, Audi e Peugeot sono solo alcune. Sinceramente non credo vedremo questa tipologia di loghi diffondersi particolarmente anche nel calcio perché molti loghi sono troppo complessi. Il logo dell’Inter lo abbiamo già visto su Instagram in versione flat ma anche in 3D e funziona sempre, con loghi molto complessi una versione 3D sarebbe antiestetica. È una via difficile per queste tipologie di design perché va considerato che mediamente il pubblico e gli addetti ai lavori sono più chiusi. I cambi al logo effettuati dal Manchester City o dal PSG, ad esempio, sono minimali, non è paragonabile con ciò che è stato fatto dall’Inter o dalla Juventus. Modifiche del genere non potrebbero mai esserci in Germania perché il pubblico italiano ha una mentalità molto più aperta. I brand tedeschi che abbiamo menzionato prima? Mercedes e BMW hanno realizzato delle modifiche veramente minime.

A questo proposito, quanta vita avrà il logo dell’Inter e in generale come è cambiata la durata della vita dei loghi sportivi?

Difficile da dire. Alcuni loghi non cambiano realmente, le modifiche sono troppo piccole, come ad esempio il logo del Bayern Monaco. Sono dell’idea che questo logo potrà durare almeno dai 5 ai 10 anni, poi bisognerà vedere come si evolvono i media, le mode e se ci sarà la necessità di inserire il nome completo del club direttamente nel crest. Magari tra qualche anno andranno di moda i bordi più arrotondati e morbidi. Sarà il tempo a dirlo.