Da sempre, nello sport sono gli atleti a trainare l’appeal mediatico, le emozioni dei tifosi e, di conseguenza, il mercato. Nel mondo sportivo del 2020 però il seguito e il contesto creato da media e social network è più grande che mai, tale che anche gli allenatori iniziano ad avere appeal, grazie alle loro personalità e stili di gioco. Per questi motivi, Jordan Brand ha firmato un contratto con Sean Payton, coach dei New Orleans Saints in NFL.
Le dinamiche di un allenatore sono diverse nei vari sport, così come i dress code, ma un dettaglio chiave rimane: le scarpe sono l’unico elemento personalizzabile. Tra abiti formali e tute sportive, gli allenatori non possono personalizzare più di tanto il loro outfit, ma le scarpe restano libere. Sean Payton è diventato così il primo allenatore a firmare con Jordan, anche se tutto è nato da una scommessa.
Michael Thomas, wide receiver dei Saints, è uno dei principali uomini Jordan in NFL, spesso visto con impressionanti PE, limited edition e creazioni speciali ai piedi. Per questo, coach Payton ha iniziato a indossare delle Jordan 11 Low “Closing Ceremony” nel giorno delle partite. Bianche e oro, cromaticamente coordinate con i colori dei Saints. In passato ha però indossato anche le Jordan XI “Concord”. Thomas e Payton hanno lo stesso numero di piede, così hanno iniziato a ironizzare sulla possibilità di prestarsi e scambiarsi i modelli. Payton ha quindi fatto una scommessa con il suo ricevitore: ogni volta che quest’ultimo riceveva un touchdown particolarmente difficile o spettacolare, Payton gli avrebbe fatto trovare un paio di Jordan nell’armadietto.
Salto temporale allo scorso febbraio, settimana del Super Bowl.
Non essendo i Saints in gioco, coach Payton è andato a giocare un torneo di golf al Grove XXXIII, il nuovo campo creato da Michael Jordan. In quell’occasione, l’ex Bulls l’ha riconosciuto e, dopo avergli detto “Hey, tu sei l’allenatore che mette le Jordan in partita”, gli ha promesso che sarebbe stato il primo coach sponsorizzato dal Jumpman. Secondo quanto raccontato recentemente da Sean Payton, due giorni dopo si è ritrovato l’offerta di contratto fra le sue email.
Questa possibilità è particolarmente interessante perché aprirebbe un mercato totalmente nuovo, nessuno lo sta esplorando come la NFL. Da poco è stato detto che le Air Force 1 di coach Andy Reid con cui ha vinto l’ultimo Super Bowl andranno nella Hall of Fame, mentre ora Sean Payton chiude un accordo con Jordan, un legame che lo porterà a indossare modelli sempre nuovi, specie perché l’abbinamento cromatico bianco/nero/oro è frequente nel Jumpman.
La cultura americana non è lontana da questo mondo ma non sempre la situazione Sean Payton è esplorabile. Coach Roy Williams a North Carolina, Patrick Ewing a Georgetown e Juwan Howard a Michigan sono tre allenatori nel mondo del basket che spesso vediamo con importanti Jordan ai piedi, ma il legame con il brand gestito da Nike non è una sponsorizzazione, piuttosto un accordo collettivo: le squadre collegiali impongono l’uso del prodotto dello sponsor tecnico per staff e giocatori in ogni elemento, scarpe incluse.
Ciò vale ancora di più per Penny Hardaway, coach dei Memphis Tigers. Non solo la situazione appena spiegata si ripete in questo caso, ma è rinforzata dal fatto che Penny è solito indossare molti modelli della propria signature line. A testimoniare l’assenza di una sponsorizzazione è anche la frequenza con cui l’ex stella degli Orlando Magic indossa silhouette di brand high-end, Louis Vuitton su tutti.
Negli altri sport professionistici americani la situazione è leggermente diversa. Abbiamo intravisto qualcosa anche in NBA, ma è stato principalmente dovuto all’iniziativa legata al ricordo di Kobe Bryant. Solitamente infatti i coach non sono soliti indossare sneakers o comunque non sono asset ricercati dai brand. Il minor movimento, la minor partecipazione a certe fasi della partita li rendono meno appetibili ai marchi. Nel basket almeno otto giocatori su dodici di ogni squadra giocano costantemente, firmarne uno o due equivale infatti a ottima visibilità per un brand. In NFL, invece, una trentina di atleti su 53 totali si alternano per momenti sporadici del match, motivo per cui avere un giocatore sotto contratto non garantisce inquadrature o visibilità di alcun tipo. Il coach però è sempre protagonista, costantemente inquadrato in ogni fase di gioco e sempre intervistato a fine partita, talvolta anche più in vista di un quarterback. Il coach è anche uno dei pochi con la possibilità di indossare un modello lifestyle, acquistabile quindi in negozio. Un grande plus per i brand.
E per quanto riguarda lo sport europeo per eccellenza? Nel calcio, gli allenatori sono soliti firmare accordi di sponsorizzazione personali con il brand che gestisce il materiale tecnico della squadra. Non a caso Guardiola è stato uno degli elementi chiave per cui Puma ha sottratto il Manchester City a Nike, così come lo Swoosh ha detto che punterà molto sull’apporto di Klopp, una volta che il contratto con il Liverpool sarà attivo.
Resta il fatto che al momento non abbiamo memoria di allenatori calcistici scendere in campo con scarpe di impatto nel mondo lifestyle o addirittura streetwear, si voglia per ragioni di gusti o per frizioni tra i brand che forniscono materiale tecnico alle squadre o quelli che si occupano degli abiti formali. Che lo stile sportivo e casual di Klopp possa rivelarsi un Cavallo di Troia in questo mondo? D’altronde è stata proprio Nike a percorrere le prime strade da questo punto di vista nel mondo dello sport americano.